Il futuro dell’esplorazione spaziale come l’abbiamo vissuta finora è in serio pericolo e con esso anche quello della ricerca scientifica nella nostra galassia e nello spazio profondo. La riduzione del budget 2026 a disposizione dell’Agenzia spaziale americana, un taglio voluto fortemente dal presidente Donald Trump e pubblicato con dovizia di particolari il 30 maggio 2025 dalla stessa NASA, ha suscitato sgomento e indignazione in tutti quegli operatori del settore, scienziati e industriali, che da decenni sono impegnati in programmi nazionali e collaborazioni internazionali. Associazioni scientifiche di importanza mondiale e la stessa industria spaziale statunitense non hanno lesinato le critiche. Trump non ha mai nascosto le proprie intenzioni di ridurre significativamente la spesa pubblica e nel caso della NASA ha prospettato una diminuzione del budget di quasi il 25%: si scende dagli attuali 24,9 miliardi di dollari a 18,8 miliardi nel 2026. Se approvato in via definitiva dal Congresso (il voto è previsto non prima del prossimo ottobre) il fatto risulterebbe molto penalizzante per l’agenzia americana e per il mondo intero. Sì, perché nel documento reso noto è anche indicata esplicitamente la soppressione di programmi già concordati e addirittura già in corso con la collaborazione e l’impegno diretto di agenzie straniere, come l’Agenzia spaziale europea (ESA).
Un esempio per tutti: è a rischio persino il Gateway, la piccola stazione spaziale progettata per orbitare attorno alla Luna come avamposto umano in vista della discesa sul pianeta, nel quadro del programma Artemis. Tuttavia, l’America dice ancora che vuole arrivare sulla Luna entro il 2030 per battere i cinesi. La contraddizione appare evidente. Ad aggravare la situazione, nella proposta di bilancio figura anche una riduzione di quasi 4 miliardi di dollari sui fondi dedicati ai programmi scientifici: un potenziale disastro. Fortunatamente ci sono ancora alcuni mesi per analizzare quanto avventate siano state queste misure e per correre ai ripari, ma non si sa mai. Viviamo in un contesto difficile, dove gli interessi geopolitici la fanno da padrone. Nel frattempo l’ESA sembra darsi da fare per consolidare il suo ruolo in diversi programmi e va alla caccia di nuove opportunità. Il giugno scorso ha firmato un protocollo d’intesa con Thales Alenia Space (la società aerospaziale franco-italiana che è la più grande produttrice di satelliti in Europa) e l’americana Blue Origin (un’azienda aerospaziale privata fondata da Jeff Bezos, il famoso miliardario patron di Amazon), un documento che mira a promuovere e facilitare l’avanzamento commerciale e industriale dell’esplorazione spaziale nelle orbite basse (zona definita con l’acronimo LEO). L’accordo non è legalmente vincolante come un contratto, ma delinea gli impegni e le intenzioni dei firmatari come passo preliminare per un futuro impegno più formale.
Per l’Europa spaziale la novità della sottoscrizione di un tale accordo è che stabilisce legami più stretti e privilegiati con Blue Origin. L’azienda americana tra le molte sue attività annovera lo sviluppo di Orbital Reef, una stazione spaziale commerciale privata già in fase di sviluppo – progettata insieme a Sierra Space e altri partner americani tra i quali la Boeing – destinata a ospitare attività di ricerca e commerciali nell’orbita terrestre bassa. La stazione contempla, per Bezos, anche l’opzione turismo spaziale. Sarà un «parco commerciale a uso misto», come l’ha definita Blue Origin, e potrà ospitare fino a 10 persone. Potrebbe essere pronta entro la fine del decennio. Tutti i partner firmatari si dicono entusiasti per la fiducia reciproca riposta nel programma appena ricordato e per la nascente nuova collaborazione. Si tratterà di preparare nuovi moduli, sistemi e sottosistemi per la nuova stazione, e di inserirsi con essa nell’agguerrita lotta per la privatizzazione dell’orbita terrestre.
La Stazione spaziale internazionale (ISS) si avvicina alla fine della sua vita operativa e probabilmente sarà deorbitata entro il 2030. L’economia spaziale è pronta per una transizione verso stazioni spaziali di proprietà e gestione privata. Le aziende commerciali stanno facendo passi avanti per colmare il vuoto e monetizzare sulla crescente domanda di ricerca, produzione e turismo nello spazio. I contendenti sono tanti. Orbital Reef sa di dover fronteggiare concorrenti altrettanto determinati già attivi nello spazio, come Axiom Space (altra azienda privata Usa) e SpaceX (di Elon Musk), in una competizione che ridefinirà il modello dell’accesso allo spazio. Una NASA azzoppata, che comunque partecipa a quasi tutto, potrebbe perdere la sua leadership, ma sembra che Trump abbia altri pensieri. Solamente il settore dell’esplorazione umana registra un aumento del budget NASA rispetto all’anno precedente e questo perché c’è in ballo la competizione con la Cina per arrivare primi sulla Luna e su Marte. L’ESA è fuori da queste logiche e prosegue con la sua politica intesa a favorire il benessere delle popolazioni attraverso la conoscenza e diverse realizzazioni tecnico-pratiche di sicuro avvenire. Il 7 di luglio scorso ha annunciato con enfasi il successo di un esperimento di comunicazione ottica dalla Terra fin nello spazio profondo.
Il progetto Deep Space Optical Communications è della NASA e ha già visto lo scorso anno un primo successo da parte dei ricercatori del Jet Propulsion Laboratory californiano. Quest’anno, con il benestare degli americani, è stato replicato con successo da un’equipe europea che ha stabilito una comunicazione laser di andata e ritorno con il satellite Psyche della NASA che si trovava a 265 milioni di Km da due stazioni in Grecia, dimostrando così di saper padroneggiare tecniche d’avanguardia. Un esempio di collaborazione scientifico-tecnica dalle prospettive interessanti. Si è dimostrata la possibilità di comunicazioni ottiche (laser) ad alta larghezza di banda per le missioni spaziali, anche fino a Marte, superando le capacità delle tradizionali comunicazioni radio. Trasportando dati a una velocità fino a 100 volte superiore a quella delle frequenze radio, i laser possono consentire la trasmissione di informazioni scientifiche complesse e di immagini e video ad alta definizione.
Inoltre per l’ESA avanza un programma (chiamato SpaceRISE), varato meno di un anno fa, per costruire una nuova costellazione di satelliti che possa fare concorrenza agli Starlinks di Elon Musk. Insomma, sembra evidente che l’Europa spaziale cerchi sempre più di proporsi e consolidare la sua posizione di importante partner nel contesto internazionale. Nella riunione tenutasi a Parigi l’11 e il 12 giugno scorso il Consiglio dell’agenzia ha adottato una risoluzione che sarà sottoposta al Consiglio ministeriale del prossimo novembre. Si parla di resilienza di fronte alle minacce che colpiscono il nostro pianeta, di farsi guida per la conoscenza umana nei riguardi dell’universo, di incrementare la collaborazione tra tutti gli Stati membri, di favorire crescita e competitività. Il Consiglio ha approvato diversi accordi di cooperazione con partner internazionali, in particolare un’estensione del memorandum d’intesa tra l’ESA e L’ONU sulla cooperazione nell’uso dei dati e della tecnologia per gli insediamenti urbani e gli habitat in generale, inoltre il prolungamento di 5 anni dell’accordo in vigore con l’Agenzia europea per la sicurezza marittima riguardante l’uso di sistemi basati sullo spazio in appoggio alla navigazione, alla sorveglianza e alla lotta all’inquinamento dei mari.