Lezioni di giornalismo e di resistenza

Non giriamoci intorno: la lacrimevole questione dei dazi alla Svizzera (di cui parla Angelo Rossi a pag. 19) e all’Europa (su cui scrive Aldo Cazzullo nella stessa pagina) ha oscurato mediaticamente la guerra in Ucraina. Gaza no, vuoi per le iniziative sempre più drastiche di Netanyahu, vuoi perché alcune personalità svizzere (dalle ex consigliere federali Ruth Dreifuss e Micheline Calmy-Rey al rabbino liberale di Zurigo Ruven Bar Ephraïm) hanno vestito i panni del grillo parlante accusando Berna di inerzia di fronte alla cinica e sproporzionata reazione israeliana allo schifoso eccidio originario di Hamas.

Tutto questo mi ricorda la prima lezione di «mondo reale» ricevuta in redazione anni fa, quando i vecchi del mestiere mi spiegavano che per un lettore ticinese un incidente in motorino con un ferito in centro a Bellinzona si faceva leggere molto di più di un massacro a colpi di machete in Ruanda. Con tutto il rispetto per i timori generati dalla stangata trumpiana, il mondo soffrigge tra crisi maiuscole, ma noi vediamo solo le nostre magagne; brutte sì, ma fino a un certo punto. Noi rischiamo un calo del PIL tra lo 0,3% e lo 0,7%, che non sono noccioline, d’accordo, ma altri corrono a zig zag tra le bombe o si spengono per fame.

Così derubrichiamo a un basso livello d’attenzione lo scandalo dell’invasione illegittima dell’Ucraina da parte di Mosca, diventata nel giro di tre anni un rumore di fondo, un rosario quotidiano di una manciata di morti e feriti tra Odessa e Kherson, il ronzio lontano di una zanzara che non riesce più a pungerci.

Per sperare in un certo ritorno d’interesse per la causa mi tocca rispolverare la seconda lezione di «mondo reale» dei vecchi giornalisti: parlare dello stesso tema attraverso i suoi aspetti più bizzarri. Il cane che morde l’uomo, alla lunga non fa notizia; l’uomo che morde il cane sì. Per esempio, nei giorni scorsi la tragedia ucraina ha ritrovato un po’ di spazio nel mainstream informativo grazie a un’invasione di cavallette. Le regioni colpite sono le stesse dove il conflitto è più feroce, e non è un caso: Zaporizhzhia, Dnipropetrovsk, Kherson, Donetsk eccetera.

La causa, parrebbe, è da ricondurre alla distruzione della diga di Kakhovka. Avvenuta nel 2023, ha sommerso centinaia di chilometri quadrati di terreno, alterando l’ecosistema e creando ambienti umidi favorevoli alla proliferazione delle locuste. Fatale che moltissimi terreni agricoli venissero abbandonati favorendo la crescita incontrollata degli insetti. Nel frattempo, gli uccelli migratori stanziali, naturali predatori delle cavallette, sono fuggiti dalle zone di conflitto a causa del rumore, delle esplosioni e della distruzione degli habitat naturali. Un ecocidio a tutto tondo che ora assume i contorni della piaga biblica: l’invasione delle locuste appunto.

A di là dei bombardamenti e dei droni, si vive così da quelle parti, nella smemoratezza del resto del mondo, pieni di insetti e vuoti di attenzioni. Le locuste stanno distruggendo raccolti di girasoli e cereali, con perdite stimate fino a un terzo dei raccolti.

Ma è proprio quando tutto sembra perduto che spunta l’insopprimibile voglia di resistere. Recentemente è circolato un video su Youtube che mostrava alcuni agricoltori di Zaporizhzhia che dissodavano la terra indossando giubbotti antiproiettile per proteggersi dai possibili/probabili attacchi nemici. Perché, a differenza dei volatili predatori d’insetti, gli umani non hanno ancora le ali e non possono migrare verso cieli più tersi. C’è un altro video in cui si vedono Nastia e Antonio, una coppia di Kharkiv, che si sposa nei sotterranei della metropolitana, col sottofondo delle sirene antiaeree. Da quelle parti, l’unico modo di volare è l’amore.

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