Due road-movie che fanno i conti con la memoria di terre martoriate, tra passato e presente, con un’attualità anche bruciante, hanno inaugurato il 78esimo Locarno Film Festival.
Ad aprire il concorso per il Pardo d’oro è stato il palestinese With Hasan in Gaza di Kamal Aljafari (nella foto), che utilizza filmati girati nel 2001 con una videocamera minidv per raccontare la Striscia in una situazione che non ha fatto che peggiorare. Un uomo torna a Gaza, facendosi accompagnare dalla guida turistica Hasan, alla ricerca di un amico conosciuto in prigione nel 1989. Era il periodo della prima Intifada, quando i giovani arabi si ribellarono all’occupazione israeliana a colpi di pietre e molti furono arrestati. Il viaggio a bordo di taxi tra Gaza, Khan Yunis, Rafah e le altre località, senza un indirizzo da cercare bensì un semplice nome, porta a incontri di vario tipo e a cogliere brandelli di vita quotidiana. Il regista – che da giovanissimo fu recluso semplicemente per aver aderito a una protesta – parte dalla propria vicenda personale trasformandola in testimonianza diretta, pur senza troppo indugiare sull’autobiografia. L’idea chiave è che Gaza fosse e sia un carcere, anche se gli eventi degli ultimi tempi hanno aggravato ancor più la situazione: guardando le immagini del 2001 si pensa a quanta distruzione e morte si siano aggiunte ora.
L’idea cinematografica è interessante e peculiare e rende With Hasan in Gaza un film valido al di là dell’argomento: non sorprenderebbe un premio importante nella serata di chiusura del Festival. Forse la struttura non è troppo equilibrata e il punto di vista del narratore si esprime con qualche scritta nella seconda parte del film e con un lungo testo sul finale, forse troppo esteso e dettagliato, per quanto utile, e forse troppo tardi per accompagnare davvero lo spettatore dentro un percorso che può apparire oscuro o troppo lungo.
Le immagini mostrano il muro che a inizio secolo era in costruzione per proteggere gli insediamenti israeliani, i tanti checkpoint, le difficoltà pratiche di una vita normale, e si sofferma più volte sulla paura che la videocamera per riprendere venga scambiata per un’arma da fuoco e inneschi reazioni indesiderate da parte delle guardie.
L’altra peregrinazione avviene attraverso l’Armenia, in Le pays d’Arto – In the Land of Arto di Tamara Stepanyan che ha inaugurato il Festival in Piazza Grande. La parigina Céline, interpretata da Camille Cottin (vista nel recente Tre amiche e in precedenza in House of Gucci e Assassinio a Venezia), arriva in treno nella città di Gyumri nel giugno 2021, data non casuale prima dell’ultimo conflitto dello Stato caucasico con il vicino Azerbaigian per il controllo della regione del Karabakh. Dopo la morte del marito Arto Saryan, originario di quell’area del Caucaso, la donna vorrebbe donare la cittadinanza armena ai due figli, per questo si reca nella città natale di lui dove richiedere il certificato di nascita. Negli archivi non si trovano documenti e la protagonista sarà costretta a un viaggio anche rischioso per scoprire la reale identità del congiunto, immergendosi nella storia recente dell’Armenia, tra il distruttivo terremoto del 1988, il crollo dell’Urss con l’abbandono di fabbriche e luoghi di villeggiatura, e la guerra del 1993, quando presero il controllo del Karabakh, conquistato dagli azeri nel 2023.
Un buon film, basato sull’imprevisto e il confronto con una realtà diversa da quella che si conosceva, ricco di sensazioni ed emozioni contrastanti, magari un po’ lento per dare alla protagonista il tempo di rendersi conto di ciò che accade.
In apertura di concorso anche il curioso tedesco Sehnsucht in Sangerhausen – Phantoms of July di Julian Radlmaier, in quattro capitoli che si incrociano tra loro nella cittadina di Sangerhausen in Sassonia, al limitare dei monti dello Harz. A fine Settecento la servetta Lotte sogna di non servire più i ricchi dopo la Rivoluzione francese, ai giorni nostri la sua discendente Ursula svolge due lavori e non guadagna abbastanza per permettersi di comprare le ciliegie. Un film leggero un po’ alla Rohmer, girato in pellicola, sul caso e le stranezze, con piccoli oggetti che legano le persone, e un fondo politico marcato, accennando a Iran, Ucraina, nazismo, diritti dei lavoratori e altro ancora.
Tra i titoli in gara in questi giorni spiccano tre grandi autori: la giapponese Naomi Kawase con Vicky Krieps (Il filo nascosto) con il film Yakushima’s Illusion, il ritorno del francese Abdellatif Kechiche (Palma d’oro 2013 con La vita di Adèle) con Mektoub, My Love: Canto due e il romeno Radu Jude (premiato a Locarno nel 2023 per Do Not Expect Too Much from the End of the World) con Dracula. Non è detto siano loro i favoriti, Locarno riserva da sempre scoperte e sorprese.