Colpo critico: racconti, cinema e giochi da tavolo continuano a nutrire il mito della frontiera, dove la leggenda prevale sulla realtà
«Bert Barricune morì nel 1910. Al suo funerale si presentarono non più di una decina di persone. Tra loro c’era un giovane giornalista dall’aria seria che sperava di riuscire a rimediare una storia di vita interessante: circolavano leggende secondo cui il vecchio era stato una specie di pistolero ai tempi andati».
Comincia così il racconto L’uomo che uccise Liberty Valance, scritto da Dorothy Johnson nel 1953 e pubblicato in italiano da Mattioli nel 2025, con la traduzione di Nicola Manuppelli. La storia è conosciuta soprattutto nella versione cinematografica girata da John Ford nel 1962, con John Wayne e James Stewart. È proprio nel film che un giornalista pronuncia una delle più famose sentenze sull’epopea americana: «Siamo nel West, dove se la leggenda diventa la realtà, vince la leggenda». Queste parole giustificano l’intenzione di non pubblicare un fedele resoconto dei fatti, ma di lasciare che continui a circolare la versione romantica e inesatta. In effetti il western non può fare a meno di evocare il mito: già basterebbe la solitudine dei personaggi nella natura sconfinata e la lotta per la sopravvivenza, senza arrivare alla tensione di uno scontro fra pistoleri nella main street.
Il capolavoro di Ford illustra un passaggio fra epoche. Gli uomini della frontiera tutti d’un pezzo devono farsi da parte di fronte a esigenze sociali più complesse: il futuro non appartiene agli eroi ma ai politici e agli intellettuali, in grado di trovare dei compromessi per lo sviluppo del Paese. Tutto ciò appare anche nel breve racconto di Dorothy Johnson, ma con in più una delicatezza di tocco, una capacità di commuovere grazie a personaggi appena abbozzati eppure vasti come la prateria. Sarà vero che il vecchio Bert ai suoi tempi era un pistolero? E perché al suo funerale sono intervenuti nientemeno che il senatore Ransome Foster e sua moglie? Di certo Dorothy Johnson è una scrittrice di prima categoria. Nella stessa raccolta, fra l’altro, ci sono altre due novelle che hanno dato vita a film memorabili: Un uomo chiamato cavallo e L’albero degli impiccati.
Il western può sembrare superato, fuori moda. Eppure sopravvive (anche al cinema, come ha scritto sul numero 33 di «Azione» Nicola Mazzi, Ndr.), e leggendo Johnson si capisce il perché. Non si tratta solo di ricostruire la frontiera americana nel diciannovesimo secolo, ma di approfondire degli archetipi narrativi che risalgono all’Iliade e all’Odissea. Per questo motivo, pur nella marea di novità, il western non manca nemmeno nelle ambientazioni dei giochi da tavolo.
Revolver (White Goblin Games, 2011) è un titolo di Mark Chaplin che negli ultimi anni è passato un po’ inosservato, ma che resta solido e divertente. Il mazzo di carte non serve solo per combattere ma segna le tappe di un inseguimento: oltre a predisporre gli effetti più efficaci, bisogna quindi tenere conto del fattore temporale. Siamo nel 1892 e la banca di Repentance Spring è stata rapinata dalla banda di Jack Colty. Per fuggire i banditi, manovrati da uno dei due partecipanti, devono prendere il treno delle 15.15 alla Rattlesnake Station. L’altro giocatore, invece, impersona il colonnello Mc Ready, con i suoi marshall e i suoi sceriffi. McReady deve eliminare tutti i membri della banda, prima della sfida finale con lo stesso Colty.
Revolver è rapido, ma con una buona struttura narrativa; non a caso l’autore inserisce nelle regole una dettagliata biografia di tutti i personaggi.
Sembra meno romantico il grande classico di Xavier George: Carson City (Quined White Goblin Games, 2009), con le sue molte espansioni. Si tratta di un gestionale di media complessità, che richiede ai giocatori (da due a cinque) di edificare dal nulla una città nel deserto. All’apparenza non si tratta di ingaggiare duelli, bensì di sfruttare le miniere sulle montagne, accumulare soldi e rivendicare terreni sui quali costruire strade, case, ranch, saloon, alberghi, drugstore, banche, ma anche una chiesa e una prigione.
Ancora una volta, però, il lato leggendario del western fa capolino oltre i piani tattici. A ogni mossa infatti i partecipanti devono scegliere uno specifico personaggio che offre alcuni vantaggi. Ecco dunque entrare in scena lo sceriffo, l’agricoltore, il banchiere, l’ufficiale di cavalleria, la droghiera, il lavoratore cinese e, naturalmente, il fuorilegge. E un giocatore potrebbe chiedersi: ma perché affannarmi a risparmiare per comprare lotti di terreno, quando posso inviare un nugolo di cowboy armati fino ai denti nel ranch del mio avversario? A questo punto si fermano le elucubrazioni strategiche e cantano le pistole. Perché Carson City è pur sempre ambientato nel Far West: fra un lancio di dadi reale e uno leggendario, non c’è dubbio, alla fine vince la leggenda.