«Mamma, devi assolutamente parlare del doomscrolling ne Le Parole dei figli, perché capita anche a me di rendermi conto di aver passato un’ora su TikTok vedendo solo notizie negative, scrollando in modo compulsivo e senza riuscire a fermarmi». Così Clotilde, 17 anni, mi spinge a riflettere su un fenomeno che come genitori non possiamo ignorare. Il termine doomscrolling nasce dalla fusione di due parole inglesi: doom (sventura, destino infausto) e scrolling (far scorrere). Introdotto nel dizionario Usa Merriam-Webster nel 2020, viene definito come «passare troppo tempo online a scorrere notizie o altri contenuti che provocano tristezza, ansia, rabbia». Nel 2021 entra anche nel vocabolario italiano Zingarelli, come «abitudine compulsiva a consultare le notizie online, soprattutto quelle negative, causando ansia o stress».
Le sue caratteristiche principali sono tre: 1) la compulsività del gesto, cioè l’incapacità di smettere di scorrere; 2) la prevalenza di contenuti negativi, come notizie tragiche, catastrofiche o allarmanti; 3) l’effetto sulla salute mentale, generando ansia, stress e malessere. Soprattutto dopo il Covid numerosi studi scientifici internazionali stanno analizzando il fenomeno per dimostrare gli effetti negativi sulla salute mentale degli adolescenti (e non solo). Qui preferiamo raccontarlo dal punto di vista dei più giovani. Negli ultimi mesi se ne stanno occupando anche i siti universitari. Il 27 marzo 2025, sul blog della Florida Atlantic University, la studentessa Ava Lopez riflette sulla difficoltà di uscire da questo circolo vizioso: «Come posso risolvere il problema se ne sono intrappolata? Sarebbe più facile continuare piuttosto che lottare in una battaglia persa. Proprio come una reazione alla droga, è difficile smettere di colpo, ancor di più in un’epoca in cui la tecnologia è più comune di una semplice sigaretta elettronica o di una bottiglia di alcol. La tentazione di “scorrere” è più forte che mai».
Il suo invito è a chiedere aiuto. Il 10 aprile 2025, sul sito dell’Università della California di San Diego, Sara Bock, responsabile della comunicazione, spiega i meccanismi mentali che intrappolano: «Ti dici che è solo per un minuto, giusto per rimanere aggiornato. Ma poi una notizia tira l’altra. Disastri naturali, conflitti, crisi economiche ti sommergono. Prima che tu te ne accorga, è passata un’ora e il tuo cuore batte più forte. Perché non riesci a fermarti? Non sei il solo: è un’abitudine che si sta diffondendo».
Per capire meglio, Bock intervista Susan Tapert, esperta nello sviluppo cognitivo degli adolescenti, nominata nel 2022 tra le mille migliori scienziate al mondo. La domanda chiave è: perché siamo così attratti dalle notizie negative? «Il cervello ha un bias di negatività, un tratto evolutivo che ci rende più reattivi alle minacce – spiega Tapert –. Storicamente, essere attenti a pericoli come predatori o conflitti significava maggiori possibilità di sopravvivenza. È un retaggio del passato: le cattive notizie catturano e mantengono la nostra attenzione più intensamente delle buone notizie e le elaboriamo più profondamente».
Se dunque di natura siamo più attratti dalle cattive notizie, l’algoritmo dei social, che ci ripropone in un loop infinito ciò su cui siamo più propensi a soffermarci, fa il resto. Oggi perfino su TikTok – sembra un paradosso – circolano video in cui ragazzi e ragazze mettono in guardia contro il doomscrolling, propongono strategie per disintossicarsi e invitano a scegliere alternative semplici: instead of doomscrolling, leggi, esci, chiama un amico. Sta forse nascendo una nuova consapevolezza critica proprio tra i più giovani, mentre noi boomer, pur essendo consumatori accaniti di tecnologia, spesso ignoriamo persino il termine doomscrolling?
L’Accademia della Crusca, che lo ha inserito tra le nuove parole, riporta anche l’analisi di Daniele Marchesi, psicologo che ogni giorno aiuta gli utenti su Instagram con la pagina lapsicologiaperte: «Con il doomscrolling si rischia di caricarsi di emozioni non proprie. Il pericolo è di farsi assorbire, perdendo il senso della realtà». Lo dobbiamo sapere tutti. E aiutare i nostri figli (e anche noi stessi) a riconoscere quando è il momento di dire: basta scorrere.