Difficoltà a trovare personale, problemi economici e grandi predatori spingono non poche aziende a gettare la spugna
Si dice Svizzera, si pensa a montagne, mucche e formaggio. Sarà un cliché, ma quanto di vero c’è dietro a questa immagine da cartolina! L’economia alpestre è intimamente legata al nostro Paese, che ha contribuito a plasmare modellandone il paesaggio fin dal Medioevo. Basti pensare che in Leventina la spartizione dei diritti d’alpeggio alle varie vicinanze risale addirittura al 1227 e la stagione all’alpe è riconosciuta dall’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità. L’economia alpestre non può però essere ridotta soltanto ad una tradizione, sugli alpeggi si produce formaggio di alta qualità, si curano il paesaggio e la biodiversità e, spostando il bestiame dal fondovalle, si permette alle aziende di preparare il foraggio necessario per il resto dell’anno.
Le aziende d’estivazione sono quindi un tassello essenziale del nostro settore primario, un tassello purtroppo sempre più fragile. Una delle minacce che saltano alla mente sono i grandi predatori. Una sfida soprattutto per gli alpeggi con pecore e capre. Un problema particolarmente acuto in Ticino, dove stando a un recentissimo rapporto del Cantone, la maggioranza degli alpeggi non può introdurre misure di protezione durante il giorno (sono di piccole dimensioni e magari su terreni impervi, dispongono di poche risorse economiche da investire in pastori, cani da guardia ecc.). Le cose vanno soltanto un po’ meglio per la protezione notturna, sebbene ci siano molte controindicazioni a chiudere gli animali in recinti dall’imbrunire al mattino. Aumentano le malattie e i ferimenti, aumenta l’accumulo di letame e quindi di sostanze nutritive nel terreno, diminuisce la produzione di latte. Il rischio, conclude il rapporto cantonale, è l’abbandono di molti alpeggi, una tendenza del resto già in atto nell’ultimo decennio. Dal 2011 al 2023 gli alpeggi ticinesi di capre e pecore sono calati da 145 a 107 e non aiutano certo ad invertire la tendenza i risparmi decisi dalla Confederazione. Da quest’anno i contributi federali per le misure di protezione sono passati dall’80% al 50% della spesa sostenuta. Una decisione alla quale ha già reagito la politica. Un atto parlamentare del senatore grigionese Stefan Engler – accettato in forma definitiva a giugno – intima alla Confederazione di fare marcia indietro. È però ancora troppo presto per capire con che rapidità saranno ripristinati gli aiuti.
E altre sfide incombono sulla nostra economia alpestre. Uno dei grossi grattacapi è la difficoltà di trovare personale. Il lavoro all’alpe è duro, le giornate sono lunghe – dall’alba fino a tarda sera – e convivere ventiquattro ore al giorno sotto lo stesso tetto spesso aumenta i problemi. E così in molti abbandonano. Al «Tages-Anzeiger» il bernese David Gafner ha raccontato che in questa stagione ha già perso sette aiutanti: «Due si sono fatti male, tre li ho licenziati io, due sono partiti da soli». La difficoltà di trovare personale qualificato non è una novità, in Svizzera romanda si è reagito con una formazione specifica, ma in pochi rimangono poi nel settore. Alcune piattaforme online sono inoltre state create proprio per mettere in contatto alpigiani e potenziali lavoratori. Tutto appare però inutile, perché la grande difficoltà è quella di pagare i giusti stipendi. Ogni anno l’Associazione degli alpigiani grigionesi e quella degli agricoltori grigionesi negoziano salari e condizioni di lavoro, che diventano poi il riferimento per l’intero settore. Quest’anno si va da un minimo di 123,60 franchi al giorno per un aiutante senza esperienza e formazione fino ai 258,20 per un casaro con almeno 6 stagioni di alpeggio alle spalle. Stando ai dati raccolti dal «Tages-Anzeiger», dei ventuno alpeggi attualmente in cerca di personale in Svizzera, solo sette possono pagare i salari di riferimento. Anche David Gafner ammette di non riuscire a farlo. Sul suo alpeggio a 1300 metri d’altezza sopra il lago di Thun si trasformano in formaggio 600 litri di latte al giorno. Per gestire il tutto ci vogliono da sei a sette persone, dovesse pagare a tutti i salari di riferimento – dice – non basterebbero gli incassi dell’intera stagione.
Anche per questo il presidente della Società svizzera di economia alpestre, il consigliere nazionale UDC Ernst Wandfluh, ha chiesto nelle scorse settimane un importante aumento dei contributi per la produzione di latte sugli alpeggi: dagli attuali 40 centesimi al giorno per animale vorrebbe si arrivasse a due franchi. Ossia da 40 a 200 franchi a stagione. In totale si parla di una spesa aggiuntiva per le casse federali di 23 milioni. Soldi che sarebbero necessari non solo per pagare i salari, ma pure per far fronte ai cambiamenti climatici, spiega Wandfluh alla «NZZ am Sonntag». Sul suo alpeggio sopra Kandersteg, le forti piogge della scorsa primavera hanno provocato colate detritiche che si sono portate via un pezzo di strada e porzioni di pascoli. Per far fronte ai periodi di siccità è stato inoltre necessario costruire una grande cisterna per un costo di due milioni di franchi. Una via alternativa a quella dell’aumento dei contributi, caldeggiata dall’Associazione dei contadini, sarebbe quella di prezzi più alti per i prodotti. Il 23 luglio l’associazione ha pubblicato i prezzi di riferimento per il formaggio d’alpe 2025: dai 19 ai 25 franchi al chilo. In Ticino da sempre ci muoviamo nella fascia alta del prezzo, anche perché i consumatori erano soliti apprezzare il prodotto. L’imperfetto è purtroppo oggi d’obbligo. Come ha dichiarato Bruno Schiavuzzi della Società ticinese di economia alpestre a «La Regione», «alcuni alpeggi hanno in cantina anche tra le duecento e le quattrocento forme di formaggio della scorsa stagione». Un invenduto enorme, segno di come il consumatore ci pensi due volte quando deve mettere mano al borsellino. «A mio modo di vedere – continua Schiavuzzi – è meglio tuttavia spendere un franco di qualità piuttosto che dieci di quantità. E questo proprio perché, come abbiamo visto, dietro a una forma di formaggio c’è tutto un universo». Sono davvero tante le sfide che attanagliano le nostre Alpi e le loro aziende d’estivazione. Per salvaguardare prodotti, paesaggi e cultura alpestri dobbiamo prendere tutti coscienza dell’urgenza della situazione e soprattutto del contributo eccezionale che gli alpigiani continuano a fornire alla Svizzera. Oggi come ieri e speriamo… anche domani.