Una delle immagini più intriganti recentemente offerte dalla cosiddetta cronaca mondana (per intenderci, quella che ormai si esprime quasi esclusivamente sui social network) è stata un selfie piuttosto singolare, a cui, a quanto pare, Papa Leone XIV teneva molto: una foto di gruppo in cui il Pontefice è circondato dai membri principali del cast del celeberrimo telefilm americano The Chosen, successo planetario di proporzioni epiche ormai giunto alla sesta stagione e i cui ultimi episodi sono stati da poco girati proprio in Italia, a Matera.
Una serie televisiva che negli Stati Uniti (e non solo) è diventata un vero e proprio fenomeno culturale, trascendendo ampiamente il semplice profilo mediatico del prodotto.
E il motivo principale sta nel fatto che il protagonista di The Chosen non è il solito personaggio di fantasia creato ad arte da esperti sceneggiatori – magari un investigatore, un supereroe o un agente segreto – ma colui che è da sempre il punto di riferimento di un’intera religione, la quale conta milioni di seguaci nel mondo: nientemeno che Gesù Cristo, anche noto come Gesù di Nazareth. O meglio, un’immagine totalmente inedita di colui che ha dato nome e volto al cristianesimo per come lo conosciamo ancor oggi.
Sì, perché la grande intuizione di Dallas Jenkins, creatore della serie, è stata quella di re-immaginare una versione di Gesù diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta in innumerevoli film hollywoodiani, miniserie e perfino musical hippie.
Una rivisitazione della figura cristica in cui il lato umano vincesse su quello divino, al punto da fare del cosiddetto Messia un nostro prossimo — qualcuno in cui tutti possano riconoscersi, e con cui risulti incredibilmente facile relazionarsi. In altre parole, una figura per molti versi perfetta per quest’epoca e per le necessità del pubblico odierno, e che, come in una sorta di transfert psicanalitico mediato dal piccolo schermo, possa in un attimo assumere le vesti e sembianze di colui di cui ognuno di noi avverte maggiormente il bisogno – sia questi un mentore, un amico, un fratello o un confidente.
Un meccanismo reso possibile anche e soprattutto dal carisma emanato dall’attore statunitense Jonathan Roumie, fervente cattolico, pastore laico e conferenziere, palesemente destinato fin dall’inizio della sua carriera a ruoli di stampo messianico (nel 2023 è stato protagonista anche del film biografico Jesus Revolution).
Ecco quindi che la figura religiosa per eccellenza del mondo occidentale diventa la star di un fenomeno (non solo mediatico) da milioni di follower: un vero e proprio culto, che ha addirittura causato innumerevoli conversioni tra spettatori fino a quel momento completamente disinteressati a qualsiasi forma di credo – scatenando perfino una capillare operazione di marketing in cui, forse per la prima volta nella storia, il logo di un brand televisivo è stato associato a prodotti quali quaderni di preghiera, devozionali e rosari.
Ed è proprio questa curiosa e inedita commistione di sacro e profano a stupire e affascinare legioni di commentatori, giornalisti e sociologi, soprattutto considerando come, all’inizio, nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul possibile appeal di un telefilm incentrato sui Vangeli (l’intera prima serie venne realizzata esclusivamente grazie al crowdfunding).
Eppure, oggi l’incredibile caso rappresentato da The Chosen dimostra quale immenso potere il mezzo narrativo offerto dalla fiction di buona qualità possa rappresentare: in altre parole, di come una storia ben raccontata – che offra allo spettatore la possibilità di un profondo coinvolgimento emotivo tramite l’empatia provata verso personaggi ben caratterizzati e l’esempio positivo offerto dal protagonista di turno – possa influenzare cuori e menti ben oltre i confini del semplice intrattenimento.
Perché, forse, ciò che davvero ricerchiamo quando ci sediamo davanti al televisore va ben oltre il semplice desiderio di evasione: tramite il potere delle storie, aneliamo anche a un riconoscimento della nostra umanità e fragilità, a un modo di lenire il dolore causato da un mondo spesso troppo duro per le nostre sole forze – e, perché no, a un irrinunciabile senso di speranza.