Suona il telefono. Rispondo.
«Il mio nome è Neil Rampazzo», dice Neil Rampazzo. «Lei è Mozzi?».
«Sono Giulio Mozzi», dico.
«Buongiorno, Giulio», dice Neil.
«Buongiorno, Neil», dico.
«Sarò di poche parole», dice Neil.
«La ascolto», dico.
«Non mi interrompa», dice Neil. «Ho scritto un romanzo. Non sono né il primo né l’ultimo. Lo so. Il mio romanzo è un buon romanzo. Non eccezionale. Non straordinario. Non un capolavoro. Un buon romanzo. Glielo manderò perché lei lo legga. Le telefonerò tra due settimane».
«Si dice “per piacere”», dico.
«Eh?», dice Neil.
«Mi sta chiedendo di lavorare per lei», dico, «e le ho detto che un “per piacere”, nella sua richiesta, ci stava tutto».
«Mi risulta che leggere sia il suo mestiere», dice Neil.
«Vuole una consulenza?», dico.
«Mi chiede soldi?», dice Neil.
«Desidera il mio parere sul valore del suo romanzo?», dico.
«No. So già che è un buon romanzo», dice Neil.
«Dunque», dico, «che cosa vuole?».
«Pubblicarlo», dice Neil.
«E presso quale editore?», dico.
«Uno qualunque», dice Neil. «Einaudi o Adelphi».
«O magari tutt’e due», dico.
«Se si può fare, ben venga», dice Neil.
«No», dico, «non si può fare».
«E allora perché me lo propone?», dice Neil.
«Stavo scherzando», dico.
«Giulio, io sono una persona seria», dice Neil. «Non mi faccia perdere tempo con i suoi giochetti».
«È disposto a considerare editori che non siano Einaudi o Adelphi?», dico.
«Ho scritto un buon romanzo», dice Neil. «Voglio un buon editore».
«Ma, per dire», dico, «Rizzoli, Nutrimenti, Neri Pozza, Guanda…».
«Mai sentiti», dice Neil.
«Lei in casa ha solo libri Einaudi o Adelphi?», dico.
«Io non ho libri», dice Neil.
«Ma ne ha letto qualcuno?», dico.
«Piccole donne», dice Neil. «Da ragazzino».
«E poi?», dico.
«Niente», dice Neil. «Si sa come sono fatti i romanzi. Visto uno, visti tutti».
«Lei mi sembra una persona piuttosto sicura di sé», dico.
«So quello che voglio», dice Neil. «So che cosa so fare. So che cosa ho fatto».
«E sa cosa vuole dal romanzo?», dico.
«Voglio venderne trentasettemiladuecento copie», dice Neil.
«Non trentottomila?», dico.
«Non credo sia possibile», dice Neil. «Ho fatto i miei conti».
«Lei ha studiato il mondo editoriale italiano?», dico.
«No», dice Neil.
«E allora, scusi», dico, «che razza di conti ha fatto?».
«Ho chiesto a ChatGPT», dice Neil.
«Ah», dico. «E ChatGPT le ha fatto questa previsione di vendita».
«Sì», dice Neil.
«E ChatGPT le ha anche fornito il giudizio sul romanzo?», dico.
«Sì», dice Neil.
«E lei si fida di ChatGPT?», dico.
«Giulio», dice Neil.
«Mi dica», dico.
«Lei è uno intelligente», dice Neil.
«Mah», dico.
«In ChatGPT è concentrato l’intero scibile umano», dice Nei. «ChatGPT ha confrontato il mio romanzo con tutti i romanzi che conosce. ChatGPT conosce tutti i romanzi. Lei ha letto tutti i romanzi?».
«Non le è venuto in mente che ChatGPT volesse solo compiacerla?», dico.
«ChatGPT non vuole niente», dice Neil. «Non è umana. Quindi non può volermi compiacere».
«È programmata da umani», dico.
«È programmata da centinaia, da migliaia di menti umane», dice Neil. «Lei pensa di saperla più lunga?».
«Per carità», dico.
«Per carità sì o no?», dice Neil.
«Per carità no», dico. «Non penso di saperla più lunga di ChatGPT».
«Dunque non faccia storie, Giulio», dice Neil. «Ora le mando il mio romanzo. Pensa di potermi far avere un’offerta entro due, tre settimane?».
«Solo una domanda», dico.
«E la dica», dice Neil.
«Il romanzo lo ha scritto lei», dico, «o l’ha scritto ChatGPT?».
«Le ho detto esattamente che cosa fare», dice Neil. «Non c’è una sola parola che non avrei potuto scrivere io».
«Allora perché non l’ha fatto?», dico.
«Giulio», dice Neil, «per andare da Milano a Torino, che fa? Va a piedi?».
«Prendo il treno», dico.
«Ecco: esattamente», dice Neil. «Io ho preso il treno. Allora le telefono tra due settimane. Mi raccomando. Un editore qualsiasi, basta che sia buono. O Einaudi o Adelphi».