Seduto in poltrona mi fa un po’ ridere scoprire di avere la stessa posa dell’iconico Kevin Spacey (avete presente la serie «House of Cards»? Ecco, quello). L’idea della somiglianza mi arriva di sguincio, assieme al sottotitolo della serie («Gli intrighi del potere») richiamato alla mente dalla lettura della notizia del giorno («La gestione del lupo in Ticino è un disastro che ricade interamente su Claudio Zali») e della pronta replica della Lega («Altro che lupo: ciò che davvero terrorizza certi partiti è perdere il controllo. Infatti, non è il lupo a far paura: è Claudio Zali che dà fastidio»). Di colpo cinquant’anni di giornalismo arrivano a suggerirmi di circumnavigare gli intrighi, tutti, in particolare quelli politici. Però alla fine la tentazione vince e mi affaccio su uno dei più surreali tormentoni cantonticinesi, quello del lupo.
Come traccia – obbligata, poiché ufficiale – ero convinto di poter usare un recente rapporto presentato nel corso di due serate (Pregassona e Bellinzona, fine maggio) organizzate per coinvolgere i cacciatori nell’ambito della regolazione del lupo. Facilmente reperibile sul sito web cantonale, il contenuto di quel documento in effetti è utile per confutare l’affermazione che Zali non si sia impegnato nella lotta o che, mentre attendeva luce verde da Berna, stesse addirittura aiutando il lupo! Ma quel rapporto ha un difetto: viene dai controllori, cioè dal dipartimento del Territorio, quindi è di parte, impresentabile. Cerco allora un supporto neutro e, sempre «googlando», risalgo a La Fontaine e alla favola in cui un lupo magrissimo e affamato incontra in un prato un cane «grasso, tondo e bello» che propone all’animale selvatico di porre fine alla sua «vita infame, sempre in guerra». Il lupo dapprima sembra convinto, ma appena vede la catena alla quale il cane è legato, sceglie la libertà e scappa via. Facile smontare anche questa mia scelta: parla del Seicento; poi i cani non c’entrano visto che in gioco ci sono capre e pecore; poco importa se anche quelle sono «grasse, tonde e belle» e spesso obbligate, seppur senza catena, a stare a ridosso degli abitati per curare il sottobosco e l’altezza dell’erba… E allora? Inevitabile ricorrere a colui che condivido con Michele Serra come «unico reazionario di riferimento»: lo scrittore appenninico Giovanni Lindo Ferretti. I suoi giudizi sulla contesa allevatori – lupo nell’Appennino si attagliano benissimo al Ticino, dal momento che anche da noi «si è verificato un brusco passaggio, totalizzante ed estraniante: da paesani a cittadini, da ora et labora a produci/consuma. Da sradicati a sradicanti». Ferretti ricorda anche che il lupo era l’animale totem dei Longobardi e proclama: «Il lupo è dei nostri. È tornato e ci guarda con occhi nuovi, stupiti (…) I lupi sono ecologicamente perfetti, protetti dalla legge, dai buoni sentimenti, devono essere controllati e difesi (…) I pastori, si sa, sono negletti, rozzi e primitivi, devono essere controllati e scoraggiati. Possono solo chiamare le guardie per la verifica e i giornalisti per la denuncia (…) Controllori e controllati. Lo sapessero i lupi starebbero con i pastori, ma come insegnarlo ai lupi?». Come dire: i lupi ci guardano, ci studiano, e non tarderanno a capire che, sia pure indirettamente, in Ticino preferiamo candidare pecore, becchi e capre come nuovi totem di un cantone che avanza. Mi fermo qui. Circumnavigo gli intrighi del mini-arrocco che ha finito per coinvolgere anche il lupo e faccio un censimento (dati recenti) di quanti grandi predatori abbiamo in Ticino: Onsernone tre adulti; Val Colla due (forse tre) adulti; Carvina due adulti (forse tre, e per fortuna il lupo malcantonese in odore di fucilazione è di Arosio e non di Aranno…); Lepontino tre adulti; Gridone quattro adulti. Ad eccezione del branco Lepontino, sono tutti transfrontalieri e si stima che in totale si arriva a circa 26-28 lupi adulti o capobranco. Sono numeri striminziti, soprattutto se confrontati con quelli di Vallese e Grigioni; e dovrebbero farci capire che, ancora una volta, stiamo correndo il grosso rischio – a dirla con i francesi – di «friser le ridicule».