Come arrestare la denatalità?

by Claudia
8 Settembre 2025

L’allarme corre da tempo tra le pieghe della società. È l’inverno demografico in cui sono precipitati tutti i Paesi avanzati, in Occidente soprattutto, ma anche altrove, nelle aree che pian piano stanno uscendo dalla loro plurisecolare arretratezza. Anche Barbara Manzoni ha ripreso il tema su questo settimanale nel suo editoriale dello scorso 21 luglio. I primi numeri che si citano riguardano il tasso di fecondità e sono impietosi. Corea del sud: 0,72 bambini per donna; Singapore 0,97; Cile 1,17; Canada 1,26, Italia 1,20, Germania 1,38. Qui non c’è nessuna eccezione elvetica: 1,29. Nessuna Nazione raggiunge la quota 2, necessaria per scongiurare il regresso demografico. Ma per la crescita occorrerebbe andare oltre. Le madri prolifiche bisogna cercarle nella fascia subsahariana. Un altro dato che preoccupa è la tendenza a procreare un solo figlio. In Svizzera ancora prevalgono le famiglie con due figli (42%), ma le coppie che decidono di fermarsi al primo pargolo sono già arrivate al 23% e la tendenza è all’aumento e si aggancia al parto sempre più tardivo (che ora si attesta a 31,3 anni).

Lo status del figlio unico (che la Cina anni fa aveva imposto per decreto) non è privo di conseguenze. La prima è sotto gli occhi di tutti ed è la progressiva decrescita della popolazione, che a sua volta si rispecchia in una comunità sempre più popolata di vecchi afflitti da malattie croniche. Lo squilibrio tra giovani e anziani si ripercuote sulla solidità del sistema previdenziale (primo e secondo pilastro) e sui costi della sanità, che pare non sia possibile calmierare. Ci sono poi effetti non immediatamente percepibili ma ugualmente problematici, che investono numerose sfere, private e pubbliche. Riguardano in primo luogo le stesse famiglie, che sono sempre più piccole e quindi meno in grado di garantire l’assistenza ai congiunti che si avviano ad entrare nella terza o nella quarta età. Inoltre chi alleva un figlio unico sa che deve prevedere e organizzare spazi di socializzazione, per evitare che il bambino cresca sotto una campana di vetro, senza rapportarsi con i coetanei. Ci sono anche dei vantaggi, per il figlio unico, come per esempio un elevato investimento sulla sua formazione sin dalla prima infanzia.

Una società che non ricambia il suo sangue è una società sempre più fiacca. Il suo riflesso immediato è osteggiare ogni innovazione che possa ingenerare ripercussioni destabilizzanti. Lo si vede nelle votazioni popolari, occasioni in cui prevalgono la prudenza e il conservatorismo. Sono appuntamenti in cui la partecipazione degli anziani è regolarmente superiore a quella dei giovani cittadini (i quali, dopo un primo entusiasmo intorno ai diciotto-venti anni, tendono a disertare le urne, lasciando campo libero alla «lobby» delle pantere grigie).

Ma gli addentellati sono numerosi e investono ogni ambito sociale, tant’è che molti rispolverano la cupa diagnosi che Osvald Spengler formulò oltre cent’anni fa, nella sua opera intitolata Il tramonto dell’Occidente. Ovviamente, in tutto questo, si va alla ricerca della causa. E dove scovarla se non nel processo di emancipazione della donna? La donna che alla maternità antepone la carriera e l’autorealizzazione, senza curarsi della missione che da sempre le è stata attribuita (dagli uomini), ossia quella che la vede artefice della perpetuazione della specie. Di fatto questa colpevolizzazione non porta da nessuna parte, dato che la tendenza è presente in tutti i Paesi che hanno abbracciato i valori della modernità, un ordine sempre più svincolato da principi autoritari (patriarcali) e da precetti religiosi. Perfino i Paesi nordici – Finlandia, Svezia, Norvegia, a lungo considerati modelli di «welfare» con la loro fitta rete di aiuti alle famiglie attraverso asili, assegni, congedi, agevolazioni fiscali – si stanno allineando al trend generale.

La domanda che tutti si pongono è: come arrestare la denatalità? E come riguadagnare quota 2, e possibilmente superarla per invertire la traiettoria della curva? Per ora le risposte sono soltanto due: affidarsi all’immigrazione (da regolare, calibrare sui bisogni e da integrare) o, in assenza di manodopera in carne ed ossa, far capo nelle case di riposo a robot umanoidi comandati da algoritmi tanto premurosi quanto compassionevoli.