Due teste per salvare il Partito liberale

«Tutto sommato, guardo con favore a una co-presidenza del PLR», afferma Claude Longchamp, politologo di lungo corso, in pensione e tra le voci più autorevoli in materia di politica nazionale. «Susanne Vincenz-Stauffacher e Benjamin Mühlemann (nella foto) non erano i nomi più gettonati, né i favoriti. Ma sono due volti relativamente nuovi che hanno ora l’opportunità di rilanciare l’immagine del partito». Lei è consigliera nazionale sangallese, 58 anni, già presidente delle donne del PLR. Appartenente all’ala sinistra del partito, si è affermata come politica progressista in ambito economico, sociale e ambientale. «Ha sicuramente un profilo interessante», sottolinea Longchamp. «Con la sezione femminile del partito, una realtà giovane e di piccole dimensioni, è riuscita a lanciare con successo un’iniziativa popolare, quella sulla tassazione individuale. Un obiettivo che altri, prima di lei, non hanno centrato».

Lui è consigliere agli Stati dal 2023, 46 anni, ex membro del Governo del Canton Glarona. Anche se da poco a Berna, fa già parte di organi di rilievo della politica federale, come la commissione e la delegazione delle finanze. «È un volto poco noto e, a livello nazionale, deve ancora dimostrare il suo valore», spiega il politologo, ricordando allo stesso tempo i punti di forza di Mühlemann. «A livello cantonale, come consigliere di Stato, ha svolto un ottimo lavoro. Conosce bene il partito, anche le realtà rurali, quindi la sua ala più conservatrice».

Dopo l’annuncio di Thierry Burkart di cedere il testimone, la giostra dei papabili si è messa subito in moto. Ma, come spesso accade, le figure di spicco che i media davano per naturali eredi hanno, una dopo l’altra, fatto un passo indietro. Le ragioni dei numerosi «no grazie» sono molteplici. Longchamp, fondatore ed ex direttore dell’Istituto di ricerca gfs.bern riassume così il problema: «Si tratta di un incarico a tempo pieno, difficilmente conciliabile con la vita privata e professionale. Dal presidente ci si attende che sia sempre reperibile, reattivo e presente in ogni angolo della Svizzera». Secondo il politologo, questa carica non è più un trampolino di lancio verso il Consiglio federale, semmai un ostacolo. «Si è costantemente sotto i riflettori dei media e si rischia di compromettere la propria carriera politica con risultati mediocri», afferma Longchamp, aggiungendo che per Thierry Burkart l’intenzione di rilanciare le sue quotazioni sotto la cupola di Palazzo potrebbe aver influito sulla scelta di lasciare la presidenza. «Anche Albert Rösti, attuale consigliere federale UDC, ha rafforzato le proprie chance dopo aver lasciato la guida del partito, profilandosi sul fronte della politica energetica e guadagnandosi così i favori delle altre forze politiche».

La co-presidenza ha quindi il vantaggio di ridurre rischi, peso e responsabilità. Perché funzioni, però, le due teste devono «gleich ticken», un’espressione tedesca traducibile con «avere la stessa visione». L’esempio del Partito socialista con Mattea Meyer e Cédric Wermuth dimostra che è possibile. Va però ricordato che, quando hanno assunto la guida del PS, i due si conoscevano da tempo. Tra l’altro, Meyer era stata collaboratrice personale di Wermuth. Per loro è stato facile trovare la giusta sintonia, anche sui dossier più scottanti. Un altro esempio di co-presidenza, questa volta negativo, è quello del partito ecologista. Regula Rytz e Adèle Thorens hanno preso in mano le redini dei Verdi svizzeri nel 2012, ma il loro connubio è stato poco fortunato. «Le due esprimevano posizioni molto diverse», ricorda l’esperto. «Thorens rappresentava l’anima ecologista e borghese della Svizzera francese, mentre Rytz quella sindacalista, verde e di sinistra. Dopo una sola legislatura, hanno capito che si completavano solo sul piano linguistico, ma non su quello politico e ideologico».

Ora, con Vincenz-Stauffacher e Mühlemann, il PLR tenterà la carta della co-presidenza. L’elezione è in programma il 18 ottobre, durante l’assemblea dei delegati, e in assenza di alternative la loro nomina è scontata. Il duo dovrà trovare in fretta una bussola comune perché le sfide all’orizzonte sono tutt’altro che semplici. Da una parte devono frenare la ormai decennale perdita di consensi, che alle elezioni federali del 2023 ha portato il partito a ottenere il peggior risultato della sua storia. «Non penso che il PLR riesca, da qui al 2027, a invertire la rotta. Nella migliore delle ipotesi riuscirà ad arrestare l’erosione di voti», afferma Longchamp. «Non credo all’idea che un presidente abbia la capacità di cambiare tutto. È una tipica illusione del PLR». Una speranza affidata quattro anni fa a Thierry Burkart, che però ha deluso le attese.Claude Longchamp ricorda poi l’eredità che lascerà l’attuale presidente. «Thierry Burkart ha incarnato una linea molto vicina all’UDC», sottolinea il politologo. «È sceso a compromessi sulla politica europea, ha sostenuto un ripensamento in materia di energia nucleare e, insieme alla ministra dell’economia Karin Keller-Sutter, ha promosso una gestione rigorosa delle finanze statali, scontentando le ali centriste, ecologiche e legate al compromesso del partito».

Vincenz-Stauffacher e Mühlemann dovranno ora ricucire le fratture interne e compattare il PLR. Un banco di prova severo, ma che la co-presidenza potrebbe superare perché maggiormente rappresentativa delle diverse sensibilità della base. La consigliera nazionale sangallese difende posizioni progressiste in materia di società e clima, mentre il senatore glaronese si colloca piuttosto a destra, soprattutto per quanto riguarda le questioni finanziarie. «Inoltre la formula uomo-donna – conclude Claude Longchamp – è un vantaggio, non solo come segnale verso l’esterno, ma anche come fattore di identificazione all’interno. Non va dimenticato che il PLR registra un calo di elettrici. Questa co-presidenza può quindi essere l’occasione per colmare una delle debolezze del partito».

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