Il tratto fragile e spigoloso di Maria Callas

Sebbene sia ormai chiaro ai più come noi occidentali (e non solo) ci troviamo oggi confrontati con un’epoca dominata dall’effimera quanto maniacale attenzione verso ogni parola o azione degli onnipresenti personaggi pubblici «di rilievo», è altrettanto vero che l’attuale concezione del jet set deve non poco a talune figure che, soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in quest’ambito furono vere e proprie precorritrici. E nel novero dei grandi personaggi della cultura e arte italiana del Novecento, ancora oggi sono ben pochi a rivestire l’appeal biografico di Maria Callas, la cui controversa ma sfolgorante parabola artistica si è collocata sullo sfondo di una società spesso contradditoria, ancora intrisa del conformismo ed entusiasmo tipici del Dopoguerra.

Quella di Maria, tuttavia, è stata una vita caratterizzata anche da grandi fragilità e insicurezze, nonché da momenti vissuti al limite dell’angoscia più totalizzante; e proprio questo inconfessabile dualismo tra la magia dei maggiori palchi internazionali e gli abissi di dolore della vita privata è al centro di una graphic novel italiana dall’eloquente titolo di Sempre Libera: un’opera firmata da Lorenza Natarella, qui responsabile di testi e disegni, e pubblicata nel 2017 dalla Bao Publishing, oggi tra i maggiori editori italiani specializzati in libri a fumetti.

E si può dire che questo volume rappresenti per molti versi una scommessa piuttosto ardita anche per una casa editrice controcorrente come la Bao; basta infatti un’occhiata alle tavole di apertura perché salti agli occhi il codice espressivo a dir poco unico prescelto dalla giovane autrice (qui al suo esordio fumettistico) al fine di enfatizzare al massimo la potenza narrativa dell’intera vicenda.

La narrazione si apre a Dallas nel 1958, durante una delle tante tournée internazionali della Callas, immortalando un momento quantomeno umiliante della sua carriera: quello dell’improvviso licenziamento dalla Metropolitan Opera House di New York, a lei comunicato tramite un asettico telegramma ricevuto in camerino dopo lo spettacolo di quella sera. Un episodio certo infelice, ma che la Natarella sceglie di rendere emblematico della vita stessa della cantante, infondendolo di una rilevanza simbolica che va ben oltre il semplice aspetto professionale: il tutto tramite una sequenza di tale forza espressiva da permettere subito l’identificazione empatica del lettore con quella che, di primo acchito, appare come una figura inevitabilmente sopra le righe.

Eppure, basta proseguire nella lettura per scoprire, non appena il primo flashback ci trasporta nel passato di Maria, cosa davvero si nasconda dietro ai suoi gesti enfatici e alle dichiarazioni declamate ad alta voce. Sì, perché l’agghiacciante preludio all’ascesa alla fama della Callas ce la mostra alle prese con una madre isterica e ambiziosa, dal comportamento terribilmente istrionico e destabilizzante — una figura di riferimento arrogante e pretenziosa, intenzionata fin dagli albori a sfruttare l’innegabile talento di sua figlia, così da farne una stella dell’Opera.

Naturalmente, come tutti ben sanno, il progetto materno sarà benedetto da un successo destinato a superare ogni più rosea aspettativa; tuttavia, si può dire che Maria abbia dovuto pagare un prezzo molto alto per questi sogni di gloria — forse più alto di quanto lei stessa si sia mai resa conto. Ecco quindi che, partendo dai giorni in cui frequentava il conservatorio nei panni di un’adolescente grassottella dalla voce già inarrivabile, attraverso i primi successi di pubblico fino ad arrivare all’agognata fama mondiale, quella della Callas è un’epopea per molti versi spiazzante, allo stesso tempo gloriosa e amara; un ciclo narrativo nel quale, per sua stessa ammissione, la Natarella ha scelto di «smitizzare» l’oggetto della sua biografia disegnata, rinunciando implicitamente allo sguardo adorante di molti altri autori per mettere piuttosto in luce quelli da lei percepiti come gli aspetti più «ambigui» e perfino tragici di una figura tanto spumeggiante.

Del resto, questa è senz’altro la motivazione dietro al particolarissimo codice grafico prescelto dalla fumettista: un disegno a linea chiara, dallo stile angolare e quasi dadaista, in cui Maria appare alla stregua di una strega stilizzata dal naso adunco. E bastano pochi minuti di lettura per rendersi conto di come questo sia un tentativo (peraltro molto ben riuscito) di mostrarci il mondo per come, secondo l’opinione della Natarella, la stessa Callas lo percepiva; un universo difficile da navigare, spesso inospitale e dalle tinte ostili (come gli «spigoli» quasi astratti di cui ogni vignetta è pervasa).

Il tutto viene poi reso ancora più etereo e onirico da esperimenti calligrafici quasi onomatopeici ed estremamente audaci, che richiamano le liriche dei libretti operistici per come declamate da Maria nelle sue innumerevoli interpretazioni; non a caso, l’intero fumetto è giocato sulle note bicromatiche del rosa e del nero, in un tentativo di coniugare la femminilità già glamour della cantante con le tinte più drammatiche della sua vicenda.

Avviene così che il disegno bidimensionale e solo apparentemente sgraziato della Natarella diventi il veicolo perfetto per l’anima della sua protagonista; nei suoi toni quasi picassiani è facile riuscire a intravvedere la vera e vibrante anima della Callas, e, soprattutto, quello che è il fulcro del racconto al centro di Sempre Libera – ovvero, il complesso rapporto di dipendenza emotiva tra una donna famosa e infelice e il successo che l’ha travolta come un fiume in piena, al punto da far sì che la sua vita privata rimanesse costantemente sotto i riflettori in lunghi anni di servizi giornalistici sui rotocalchi di tutto il mondo.

Ma soprattutto, ciò che davvero rimane dopo la lettura di quest’opera per molti versi coraggiosa e importante è un grande senso di comunione spirituale con la natura tormentata di una donna che, seppur ancorata a terra da un intimo dolore e senso di inadeguatezza, ha cercato per tutta la vita di vincerli attraverso la propria voce: una donna che, nelle parole di Lorenza Natarella, aveva forse «scambiato il lavoro con l’amore, [ricercando] la felicità e la realizzazione esclusivamente nella sua arte». Eppure, la domanda se ciò si possa davvero definire un errore è destinata a indugiare nella mente del lettore anche molto dopo aver chiuso il libro — rappresentando forse il maggior lascito, nonché il miglior omaggio, di Sempre Libera alla memoria di Maria Callas.

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