Giorno, notte. Caldo, freddo. Yin, Yang. Dalla dialettica fra opposti, scaturisce un senso di armonia. Quella fra il bianco e il nero del FC Lugano, nel 2025, si sta stemperando in una preoccupante sequela di sfumature di grigio.
Dove è finito il calcio spigliato e divertente che il Lugano proponeva nella seconda metà dello scorso anno? Partenze ragionate dal basso. Rapidità, precisione, sicurezza nell’esecuzione. Un vero incanto. Dopo la pausa invernale si è presentata in campo un’altra squadra. Timida, insicura, incapace di costruire e di gestire. In pochi mesi ha dilapidato quasi tutto il capitale di punti accumulato in autunno, e che lasciava persino sognare la conquista del titolo.
L’inizio di stagione è da incubo. Fuori dall’Europa, con un pesantissimo 0-5 «casalingo» per mano di un’avversaria, il Celje, contro il quale andava lavata l’onta della balorda eliminazione dell’anno precedente. Fuori anche dalla Coppa Svizzera, eliminati da una squadra di due leghe inferiori, come se la vergognosa esibizione di Bienne, la scorsa primavera, fosse un lontanissimo e fortuito episodio oramai metabolizzato. E in campionato ? Come interpretare la legnata di Sion per 4 a 0, e il successo per 3 a 1 contro i campioni in carica del Basilea?
Probabilmente, l’ottima prestazione contro i Renani, ci dice che il Lugano ha ancora un buon potenziale da esprimere. Gli altri risultati ci suggeriscono che qualcosa si è inceppato negli oliatissimi meccanismi di gioco. Perché ? La risposta, forse, ce l’hanno all’interno della società. Noi possiamo solo formulare delle ipotesi. Quella maggiormente accreditata, in circostanze analoghe, è il sopraggiungere di uno scollamento tra società, staff tecnico e spogliatoio. Spesso, per ovvie ragioni pratiche e finanziarie, a farne le spese, è il Mister. Mi spiacerebbe. Non solo per la stima che nutro da anni nei confronti del tecnico e dell’uomo. Ma soprattutto perché mi rifiuto di credere che Mattia Croci-Torti sia improvvisamente diventato un incapace. Per ora, la società gli ha affiancato Michele Salzarulo, 41enne milanese già attivo accanto a tecnici di primo piano come Conte, Mourinho, Mancini, Spalletti e altri. A
A pensare male, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Il 18 febbraio del 2025, la società ha messo alla porta il Direttore Sportivo, Carlos Da Silva. In ufficio era già pronta una scrivania per Sebastian Pelzer, che ha assunto il ruolo di Chief Sport Officer. Le ragioni dell’avvicendamento? «Pianificare al meglio le prossime stagioni». Che, tradotto in italiano, significa: «Sono fatti nostri». Dubito che ci siano sulla faccia della terra club sportivi che si prefiggano di panificare al peggio il loro futuro. Per intenderci, viene lasciato a casa un collaboratore che ha vestito per cinque stagioni la maglia bianconera, che conosce molto bene il calcio svizzero e che aveva dimostrato di saperci fare, per dare spazio a un ex difensore di seconda e terza Bundesliga tedesca, che viene proiettato in un ambiente a lui poco noto.
Sono convinto che in questa mancanza di trasparenza si celino alcune delle ragioni che hanno spinto la squadra bianconera su un’altalena dalla quale si può anche cadere, facendosi male. Inoltre, ripensando alla serie di fallimenti del calcio ticinese, che ha colpito tutti e quattro i grandi club del cantone, mi vengono i brividi per il continuo assottigliarsi della componente locale.
A Lugano, fatta salva la coppia Crus-Cao Ortelli e il fantasista Mattia Bottani, il nostro dialetto è un idioma sconosciuto. Lungi da me il pensiero di promuovere un’ulteriore forma di «primanostrismo», ma se da anni non riusciamo a formare dei ragazzini che dal Team Ticino approdino alla Superleague, qualche ragione ci sarà pure. Non è che, magari, manchino gli sbocchi? Attualmente, il Lugano è ancora un cantiere aperto. Ma sul tavolo della direzione lavori non pare esserci il progetto di un residence di lusso. Anzi. Se a Lugano giungessero dei mostri come Luttrop o Mauro Galvão, ci toglieremmo il cappello.
Ho provato a passare in rassegna l’andirivieni degli ultimi anni. Non ho trovato fenomeni in grado di vestire la maglia del Real, del PSG o del Bayern Monaco. Solo onesti ragazzi con giustificate ambizioni, provenienti da campionati minori, e destinati a fare le valigie verso Paesi in cui non si gioca un calcio migliore del nostro. Una delle rare eccezioni è Sandi Lovrić, che è rimasto in bianconero, in Serie A, con la casacca dell’Udinese. Ma, si sa, una rondine, sia pure bianconera, non fa primavera.