Le vie della superstizione sono illimitate: toccare elementi e parti del corpo; le conte, le litanie e le filastrocche; le scope; le pratiche con il sale; i poteri dell’olio di oliva; gli immancabili gatti; le limitazioni del venerdì; i rituali messi in atto nell’ambiente del teatro e dello spettacolo e in quello dell’università, che sono tanto vecchi quanto pieni della loro storia e delle loro storie; le codificazioni dello zodiaco; smorfie e lotterie ecc. Spesso, queste credenze hanno a che fare con il modo di raccontare il mondo e le sue ossessioni: «La storia dell’albero di olivo e quella dell’umanità sono la stessa cosa». E quando non è il mondo è qualcosa che lo supera: sapere dove stanno stelle e pianeti nelle collocazioni zodiacali determina i destini delle persone e preserva dalle malattie: «Il Toro protegge dagli abbassamenti di voce, il Cancro dall’influenza, l’Ariete dall’emicrania, lo Scorpione dai disturbi dell’apparato riproduttivo».
Dopo averle elencate tutte, cerca di mettere un po’ di logica nell’intricata e ricca serie, un saggio intitolato Gatti neri e specchi rotti, curato da Elisabetta Moro e Marino Niola, appena uscito nelle Vele Einaudi. L’elenco delle forme di queste abitudini, spesso declinate in pratiche regionali e locali, è ovviamente ricco e aperto. Ma è interessante anche il modo attraverso le quali queste vengono classificate: perché le superstizioni non sono semplici pratiche bislacche da ciarlatani; piuttosto, reggono un modo diverso di stare al mondo, «un’altra forma di intelligenza della vita». Questi rituali in un qualche modo «convengono», perché ci confermano che la fortuna può anche non dipendere da noi e ci scaricano così di un peso morale insostenibile sulle cose.
Tra i sensi elementari che sostengono questo sistema di credenze brilla la vista: gli occhi e lo sguardo sono spesso al centro dei rituali: il sole come pupilla del cosmo e fonte suprema di energia, il malocchio, lo sguardo dello iettatore, che è «capace di sprigionare una sorta di incantesimo fatale»; e la parola invidia, che viene da invidere, che significa «guardare storto». Ma popolano questi mondi di ragione parallela anche altri riti della lingua e della comunicazione: dello iettatore appena evocato non si può nemmeno pronunciare il nome; le Sibille, le indovine dell’antichità, leggevano letteralmente il futuro da parole scritte sulle foglie; le parole che richiamano la misura e il calcolo dipendono quasi sempre dalle fasi lunari: misura, mese, mestruo, commensurabile deriverebbero (chissà?) dall’antico indoeuropeo men, che significa «calcolo» ma anche «luna», la luna che scandisce il tempo. Ancora, specchio e spettro vengono dalla stessa radice, e si sa che sciagure possano cogliere il malcapitato cui accada di rompere uno specchio o quanto sia importante, secondo alcuni, difendersi da uno spettro mettendogli di fronte uno specchio.
Insomma, il campionario di questo libro è quello di un modo diverso di vivere la vita, di un apparato difensivo che serve ad affrontare il mistero; e all’incertezza e alle incognite, l’uomo antico e quello moderno contrappongo un sapere parallelo ma a suo modo intelligente e strutturato. Una sapienza che, posta accanto alle acquisizioni del pensiero e della tecnologia, sembra non arretrare per nulla e anzi sembra sussistere malgrado gli indubbi passi avanti della logica e della scienza nel frattempo intercorsi. Là dove dominano l’incertezza, l’imprevedibile, il mistero e il male ecco emergere l’ordine della credenza. Non mettiamo sedie a dondolo in salotto, perché il maligno potrebbe accomodarvisi; attenzione all’ombrello aperto in casa, usato di regola dai curati che somministravano l’unzione ai moribondi; si rifà il letto in al massimo in due persone, la terza subentra solo quando è il giaciglio di un defunto; non regalate farmaci o un cactus (a meno di affiancargli una piccola coccinella), non comprate almanacchi, girate al largo dai pavoni, non passate sotto una scala, se volete un amuleto non acquistatelo e fatevelo regalare. Insomma, di fronte ai fenomeni inspiegabili, là dove non si arriva con il ragionamento, c’è una spiegazione alternativa alla ragione, laterale alla scienza e alla tecnologia. A quello serve, la superstizione.