Maurer in Cina con i nemici dell’Occidente

«La piazza della porta della pace celeste», è questo il significato del termine «Tienanmen», ed è su quell’immensa spianata che mercoledì scorso a Pechino il regime cinese ha messo in bella mostra tutta la sua forza con una spettacolare sfilata militare. Diecimila soldati e imponenti mezzi militari hanno dato forma ad una parata voluta per celebrare gli ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale in Asia e per ricordare la vittoria sul Giappone, allora alleato della Germania nazista. Ad assistere a questa celebrazione c’erano i vertici del regime cinese, guidati dal presidente Xi Jinping, e una trentina di ospiti arrivati da mezzo mondo, molti di loro giunti da quella parte di pianeta che non sembra avere particolari ambizioni democratiche, per dirla con una formula eufemistica. Tra gli invitati di primo rango c’erano il despota russo Vladimir Putin e il dittatore nord-coreano Kim Jong-un. Tra gli altri, nella capitale cinese si sono visti anche i leader di Iran, Bielorussia, Azerbaijan e Myanmar.

Qualcuno è arrivato pure dall’Occidente, presenti i governanti di Serbia e Slovacchia, due Stati che si muovono nell’orbita di Russia e Cina. In questo gruppo di invitati d’onore c’era anche uno svizzero, Ueli Maurer, un «grande ex» della politica elvetica, lui che è stato consigliere federale dal 2011 al 2022 e, in quel periodo, per due volte presidente della Confederazione. Una presenza che al termine della parata è valsa a Maurer una foto di gruppo al fianco di un bel po’ di autocrati, lì a qualche passo da Vladimir Putin. Si è trattato di una trasferta su invito, rivolto direttamente a Maurer dal regime di Pechino. Un viaggio che ha avuto un’eco anche nel nostro Paese, suscitando discussioni e polemiche, tra chi ha criticato la scelta di recarsi ad una parata del genere, e chi invece ritiene che la presenza di un ministro, seppur in pensione, possa permettere di tenere aperti importanti canali diplomatici tra la Svizzera e la Repubblica popolare cinese. Ma andiamo con ordine.

Sul fronte di chi ha biasimato Ueli Maurer spicca in particolare un suo ex collega, il già ministro dei trasporti Moritz Leuenberger. A suo dire la presenza di Maurer a Pechino ha «danneggiato la reputazione della Svizzera agli occhi dei suoi principali alleati». E qui il riferimento è in particolare all’aggressione russa dell’Ucraina, sostenuta anche dalla Cina, e che vede il nostro Paese sul fronte opposto, al fianco delle principali cancellerie occidentali. Per il socialista Leuenberger c’è dunque un problema di credibilità, se ci si schiera di fianco a chi ha aggredito l’Ucraina. Va detto che Ueli Maurer ha accettato l’invito cinese senza informare né il Governo né il Dipartimento federale degli affari esteri. Non aveva dunque un mandato ufficiale e si è mosso in totale autonomia. Un aspetto controverso su cui, al termine della parata, si è espresso lo stesso Maurer, raggiunto a Pechino dalla Radiotelevisione svizzero tedesca. «Non ho informato il Governo per non metterlo in una situazione imbarazzante, lo avrei costretto a prendere una decisione difficile», ha affermato l’ex ministro, facendo notare che a margine della parata ci sono stati appuntamenti a cui ha comunque partecipato anche l’ambasciatore svizzero a Pechino.

Sollecitato sui motivi che lo hanno portato ad accogliere l’invito della Repubblica popolare cinese, Maurer ha fatto riferimento alla Seconda guerra mondiale, un conflitto che è costato la vita a quattro milioni di persone in Cina. «In questi giorni si sono ricordati gli ottant’anni dalla fine della guerra, il rispetto per quelle vittime mi ha spinto ad andare a Pechino». Va detto che gli impegni degli ex consiglieri federali sono disciplinati, seppur in grandi linee, da un regolamento specifico, il primo allegato del cosiddetto Aide-mémoire, il documento che serve da bussola amministrativa per l’attività del Governo. Nell’allegato per i ministri in pensione non ci sono riferimenti a viaggi o inviti di altri Governi, si legge soltanto che nell’accettare nuovi incarichi l’ex ministro deve dar prova di una «necessaria cautela». Tra chi in questi giorni si è espresso criticamente nei confronti di Maurer è emerso proprio il tema della «mancata cautela», in particolare nei confronti della neutralità elvetica. Un argomento delicato, in particolare per un rappresentante dell’UDC, partito che ha lanciato un’iniziativa popolare proprio sulla neutralità, allo scopo di iscriverla nella Costituzione in una versione che potremmo definire «tutta d’un pezzo». L’iniziativa è al momento al vaglio del Parlamento. Ebbene, Maurer non è stato solo un ministro, ma per ben 12 anni, dal 1996 al 2008, è stato anche il presidente nazionale dell’UDC. Il fatto di essersi schierato, seppur da ex consigliere federale, al fianco di potenze che mirano a indebolire l’Occidente e il suo sistema di valori, può essere visto come un’imprudenza che rischia di intaccare se non proprio la neutralità perlomeno l’immagine del nostro Paese.

«In questo periodo storico occorre parlare con tutti, abbiamo bisogno di contatti e non di polemiche», ha fatto notare lo stesso Maurer, che, va ricordato, ha ricevuto anche il sostegno di una parte del mondo politico svizzero, e persino quello di altri due suoi ex colleghi, Pascal Couchepin e Micheline Calmy-Rey. A detta dell’ex ministra degli affari esteri, interpellata dal quotidiano «24 Heures», «può essere utile curare i rapporti con la Cina» in particolare in questo periodo segnato dai dazi commerciali di Trump. In ogni caso non è la prima volta che Ueli Maurer dimostra un particolare interesse per la Cina, lo ha fatto diverse volte, l’ultima un anno fa, quando ha partecipato ad una conferenza organizzata dal Comitato centrale del Partito comunista cinese, evento in cui ha sottolineato il valore del dialogo nella gestione delle relazioni internazionali. Maurer pare avere un debole per la Cina ma anche per la provocazione. Non per nulla proprio all’inizio di questo 2025 si era schierato a sostegno dell’Alternative für Deutschland, il partito sovranista che le autorità costituzionali tedesche hanno definito di «estrema destra». In conclusione val la pena ricordare una massima che viene spesso evocata per chi lascia una carica di prestigio, in particolare quella di consigliere federale. «Servir c’est disparaître», una sorta di regola non scritta per chi lascia il Governo svizzero, norma che anche altri grandi «ex» della politica svizzera non rispettano del tutto. E forse proprio per questo motivo l’Aide-mémoire del Consiglio federale andrebbe in qualche modo riformulato.

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