Dalla stazione centrale, seguendo un itinerario odonomastico il più musicale possibile – via Domenico Scarlatti, via Benedetto Marcello, via Errico Petrella, via Saverio Mercadante, Pergolesi, Piccinni, Monteverdi, Paganini – senza neanche doverlo allungare più di tanto, a piedi vado in Piazza Aspromonte. Dove prendo il bus novencentosessantacinque che ora corre sulla Cassanese disorientandomi, non mi ricordo più troppo bene dove scendere per andare in piazza del Municipio a Segrate. Comune di trentasettemila anime circa a dodici chilometri nord-est dal Duomo che io associo da sempre al traliccio Enel dell’alta tensione numero settantuno. Dove, ai suoi piedi, il corpo dilaniato dell’editore Giangiacomo Feltrinelli – saltato in aria per via di un mazzo di candelotti esplosi in mano anzitempo – viene trovato il pomeriggio del quindici marzo 1972 dal contadino Luigi Stringhetti e il cane Twist.
Neanche un cane, in giro, un finire di sabato pomeriggio verso fine agosto nella subito triste Segrate dove cammino adagio ma non troppo in cerca di un monumento-fontana. L’acqua che scorreva flebile nei bagni misteriosi di de Chirico, in occasione dell’ultimo minireportage, ha innescato un desiderio di monumenti-fontane, prima che l’estate finisca. La prima a riaffiorare alla mente è quella qui a Segrate di Aldo Rossi (1931-1997), architetto e teorico dell’architettura – nonché, tra l’altro, professore per qualche anno al Poli di Zurigo – che abbiamo già incontrato un paio di volte nelle nostre camminate milanesi. Ecco dove erano tutti: intorno a una gelateria che si affaccia in uno slargo-piazza deprimente. Eppure quest’apertura nel paesaggio residenziale vomitevole mi porta, senza tante storie, a trovare subito il monumento-fontana ai Partigiani. Tutto in beton provato dal tempo, lo vedo in un colpo d’occhio: un parallelepipedo, il tetto triangolare slittato in avanti e sorretto da una colonna-cilindro. Avvicinandomi, le ombre sono il quarto elemento geometrico, mutevole a seconda dell’ora e delle stagioni.
«La piazza e il monumento costruiscono un’architettura delle ombre» sono le parole di Aldo Rossi, trovate a pagina trentatré di Architetture 1959-1965 (1999) a cura di Alberto Ferlenga, a proposito di questo progetto risalente al 1965. Le ombre dal taglio diagonale, in parte sul beton dell’opera, in parte sul porfido della piazza, ricordano molto quelle pomeridiane dipinte da de Chirico – innestando così un ulteriore nesso involontario o inconscio con i bagni misteriosi dell’ultima puntata – nelle sue piazze d’Italia metafisiche. Il monumento è concepito come una fontana da un lato e un podio dall’altro. Mi dirigo prima verso il lato fontana. L’acqua cade a cascata dal triangolo cavo. Peccato imperdonabile le barricate orribili di plastica bianca e rossa, tutto intorno alla vasca rettangolare perpendicolare alla fontana-monumento: impediscono di vedere lo scroscio-cascatella incontrare l’altra acqua. Un sacrilegio ostruire questo sollievo.
Salgo i sedici scalini del podio che potrebbero far venire in mente la scala per salire sul Monumento a Roberto Sarfatti (1934) di Giuseppe Terragni sul Col d’Echele, non lontano da Asiago, in provincia di Vicenza. Vedo altrettanti mozziconi. Da qui si vedono tre colonne come nuove rovine concettuali, in cima alla scalinata: anche parte del progetto che comprendeva la sistemazione della piazza del Municipio con alcuni elementi che non sono stati realizzati. Appoggiate a questi «elementi cilindrici, come frammenti di altre costruzioni» utilizzando ancora le parole chiare di Aldo Rossi, due ragazzine hanno tutta l’aria di scambiarsi delle confidenze. I più riusciti resti inventati di un tempio che non c’è mai stato, sono quei tre ceppi di colonne laggiù. Neo archelogia. Scendo giù dal podio e mi allontano per ritrovare il Monumento ai Partigiani, nell’idea originale smaltato bianco, in campo lungo. Bisogna astrarsi dal contesto attuale non felicissimo (trasandatezza di questa piazza in mezzo alla residenzialità-inferno cortese di casette fuori città ma con l’agreste perduto) e riuscire a estrarre con gli occhi le linee del monumento-fontana bifronte. E traslarle, ritornando alla purezza del disegno semplice e potente di Aldo Rossi.
A volte, alla lunga, è più bella l’idea della sua messa in scena. E comunque percepisco molto disamore degli abitanti, emanare dall’opera.