La rassegna La Via Lattea Campus Stellae ha celebrato i novant’anni di Giuliano Scabia nel Parco delle Gole della Breggia
Nietzsche affermava che nell’immenso spazio cosmico le via lattee conducono fin dentro al caos e al labirinto dell’esistenza, eppure un ordine è possibile crearlo: attraverso l’arte e le sue rivelazioni. Ne è certamente convinto Mario Pagliarani, compositore e fondatore del Teatro del Tempo e ideatore de La Via Lattea Campus Stellae, rassegna creata nel 2004 che ha concluso la sua 21esima edizione negli affascinanti (e misteriosi) scenari del Parco delle Gole della Breggia e della sua Torre dei Forni.
Sono i luoghi dove la rassegna ha mosso i primi passi e il recente cartellone ha proposto pellegrinaggi tematici sull’arco di nove giornate che ricordassero le tappe significative delle edizioni precedenti. Il taglio musicale, soprattutto novecentesco e contemporaneo, è fra le caratteristiche principali nella commistione con altre nobili forme d’arte in uno spirito culturalmente onnivoro, votato alla scoperta del territorio, all’armonia con la natura, fra le sue luci e i suoi silenzi.
Un particolare pellegrinaggio di questa edizione, fra letture, incontri e ascolti suggestivi, Pagliarani l’ha voluto dedicare a Giuliano Scabia, scomparso nel 2021 e che lo scorso mese di luglio avrebbe compiuto 90 anni.
Già ospite nel 2006 e nel 2015, personalità autorevole e poliedrica della cultura italiana, Giuliano Scabia era un poeta, drammaturgo, regista e attore italiano, un personaggio carismatico e innovatore che, grazie alla forza della sua poesia e del suo eclettismo letterario e teatrale, ha segnato profondamente il mondo della drammaturgia contemporanea.
Un poeta della luce che, con il suo «teatro vagante», ha colorato l’identità della drammaturgia contemporanea affascinando platee di adulti e di giovani negli anni più sensibili della storia italiana. La sua eredità culturale oggi è custodita dall’omonima Fondazione con sede a Firenze creata nel 2022 dalla moglie Cristina Giglioli con lo scopo di promuovere la sua opera costituita da un ricchissimo archivio.
Giuliano Scabia, che abbiamo avuto il privilegio di frequentare negli anni dell’Università a Bologna dove ha insegnato Drammaturgia per una trentina d’anni, era uno straordinario pedagogo oltre che un instancabile affabulatore in un costante processo di innovazione e coinvolgimento.
La sua idea di palcoscenico, in senso lato, si inseriva nella società civile e culturale accompagnando le tappe più significative delle sue trasformazioni. Dalle collaborazioni con Luigi Nono negli anni Sessanta alla battaglia per la liberazione da una psichiatria ossessiva al fianco di Franco Basaglia negli anni Settanta nel manicomio di Trieste: da luogo di disperazione a luogo di speranza. Dagli anni dell’avanguardia con il regista Carlo Quartucci al dialogo con Luca Ronconi.
Artefice della nascita del Nuovo Teatro, Scabia si inserisce nel solco di una narrazione teatrale costante, da non confondere con «l’animazione teatrale», categoria in cui non si riconosceva. Eppure, la sua è stata una drammaturgia vagante, di azione, i cui protagonisti nascevano dal basso là dove il suo teatro usciva dai contesti istituzionali per diventare una scrittura collettiva in un processo di pacifica mobilitazione.
La sua fantasia seduttrice, il suo Orfeo e l’amata natura provocavano la scena con leggiadra ironia per svegliare lo spettatore e chiamarlo alla partecipazione. Un teatro politico che metteva alla prova il linguaggio inteso come la capacità di comportarsi, di presentare le cose più semplici in modo magico, sorprendente, e che oggi ci manca.