Ma che cos’è un meme? Nell’attuale panorama digitale, i meme sono un fenomeno culturale che ha guadagnato popolarità e influenza in modo significativo. I suoi contenuti umoristici o sarcastici si sono evoluti negli anni, diventando quasi un vero linguaggio condiviso che unisce le persone attraverso il potere della cultura pop.
Cerco una definizione su Internet e trovo questa: «Pezzi di contenuto virale perlopiù umoristico, i meme sono uno strumento di comunicazione digitale ubiquo e in continua evoluzione. Figli dell’estetica internet anni 2000, i meme sono una sintesi grafica di […] pensieri, sentimenti, battute e idee… Da Facebook a TikTok, da Twitter a Instagram, […] i meme fungono da cornice interpretativa per eventi d’attualità, personaggi pubblici, fenomeni culturali e sentimenti condivisi, trasformandosi in un barometro costante dell’umore di Internet». Umore di Internet, ma anche umore della società, senza più un sipario che divida questi due universi.
La parola «meme» (derivante dal sostantivo greco mìmema, che significava sia imitazione sia immagine) è stata coniata in ambito scientifico da Richard Dawkins che nel suo Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere umano (1976), ipotizzava l’esistenza di un’entità – il memema, poi abbreviato in «meme» per assonanza al bisillabo «gene» – con la capacità di autoreplicarsi e auto-diffondersi per imitazione come il gene ma che, a differenza di quest’ultimo, agisce nella sfera culturale saltando da mente a mente come un virus.
Grazie all’accessibilità garantita dai nuovi mezzi di comunicazione, l’utente può attingere a un serbatoio pressoché illimitato di immagini che può manipolare all’infinito mettendo in atto pratiche, fino a questo momento, appannaggio esclusivo della cosiddetta «arte alta» (détournement, appropriazione, riuso, montaggio, collage, accostamento di materiali eterogenei volti alla produzione di effetti surreali), mandando così definitivamente in crisi i concetti di unicità e originalità artistica e operando una dissacrazione che sembra intaccare ogni cosa.
Presentando l’evento «Arte e meme: un riparo di ironia» (Triennale di Milano, 18 gennaio 2023), Valentina Avanzini e Martina Santurri scrivono: «Ma come funzionano i meme? Il loro meccanismo principale è l’ironia, non nel senso comune contemporaneo, che “fa ridere”, ma ironia intesa etimologicamente come “dissimulazione del proprio pensiero” (Treccani). Il meme è ironico perché è stratificato, perde traccia del proprio significato originario via via che assume nuovi livelli di lettura. Ogni meme, quindi, è composto almeno da un doppio layer, o codice, che potremmo leggere seguendo Erwin Panofsky secondo diversi livelli di analisi iconografica, a partire dal significato descrittivo per arrivare al significato espressivo, fino al contesto culturale che ha prodotto il determinato contenuto».
Gran parte del successo dei meme deriva dall’aspetto parodistico. La parodia è un modo efficace per far passare messaggi e opinioni, spesso in modo meno minaccioso e offensivo rispetto a una discussione diretta. Il termine va considerato come un «controcanto», o comunque un «canto deformato, distorto». La parodia è una distorsione di qualcosa di esistente, con finalità comico-satiriche. Per questo, non deve mai temere di esagerare. Se colpisce nel segno, non farà altro che prefigurare qualcosa che poi altri faranno senza ridere – e senza arrossire – con ferma serietà.
Tuttavia, l’impressione è che si vada diffondendo il principio di sottoporre al sarcasmo qualsiasi cosa, come se ogni immagine venisse improvvisamente scalzata dal suo appoggio e cominciasse a vagare in una vorticosa corrente dissacratoria, subendo ogni oltraggio, ogni combinazione, per opera di un prestigiatore invisibile e impassibile. È una nuova situazione che presuppone che tutto il mondo sia avvolto dal vento venefico della parodia. Nulla è più ciò che dichiara di essere. Come insegna il personaggio Joker (acerrimo nemico di Batman, creato fumettista della DC Comics Bob Kane), l’irrisione è un succedaneo della violenza, è il gesto di chi potrebbe uccidere ma decide di non farlo, limitandosi a mostrare i denti. La sua faccia eternamente felice è una maledizione, è la condanna di una maschera di gioia che combatte invano la brutalità del mondo. Ci suggerisce che ridere e irridere sono la stessa cosa, l’un gesto il meme dell’altro.