Un collettivo di associazioni attive nella difesa dei diritti umani e della democrazia ha firmato nei giorni scorsi un contributo apparso su «Le Monde» per chiedere all’Europa di diventare il nuovo leader del mondo libero.
«Oggi, nel 2025 – scrivono i firmatari, provenienti da Francia, Germania, Ucraina e Georgia – constatiamo con tristezza che gli Stati Uniti, un tempo leader del mondo libero, si sono progressivamente ritirati dalle loro responsabilità internazionali. Poi, sotto la nuova amministrazione Trump, gli Stati Uniti non hanno smesso di allinearsi alle narrative autoritarie di Vladimir Putin, hanno tagliato finanziamenti cruciali per le iniziative internazionali, hanno agito contro la Corte penale internazionale, hanno interrotto il sostegno a diversi giornalisti, hanno minacciato d’espellere rifugiati politici e ricercatori. Questo ripiegamento ha lasciato un vuoto nella governance mondiale che solo l’Unione europea può ormai colmare».
La diagnosi dei mali menzionati è corretta. Ne scrive su «Azione» anche Paola Peduzzi: «Un Paese che è stato un rifugio sicuro per la dissidenza globale – senza quel porto in cui approdare, ad esempio, gran parte delle idee, della scienza, degli intellettuali europei sarebbe stata spazzata via dai totalitarismi del Novecento – ora diventa inaffidabile e ostile». Del resto, è sotto gli occhi di tutti che se non ci si può lucrare sopra, magari assicurandosi l’uso delle terre rare ucraine o lo sfruttamento del territorio di Gaza per la creazione di una specie di Club Méditerranée sloggiato dai palestinesi, la guerra è un fastidio di cui Donald Trump non ha nessuna intenzione di occuparsi. Si direbbe che nella sua testa non esistano negoziati di pace, ma solo trattative d’affari. A giudicare dal modo in cui gestisce la crisi ucraina e quella mediorientale, l’amore per la giustizia, il tentativo di ristabilire torti e ragioni non ha la minima importanza. Conta solo il portafoglio. Una volta la grande generosissima America ci metteva vite umane e mezzi. Oggi, se i negoziati sono un’operazione economicamente a perdere, bye bye baby, fa un passo indietro e vinca il più forte.
D’altra parte, però, se c’è un momento storico complicatissimo per chiamare l’Europa al risveglio collettivo e all’orgoglio continentale come risposta di senso al vuoto americano, è questo. Perché per prendere il posto di un colosso come gli Stati Uniti, anche solo dal punto di vista morale (visto che militarmente ed economicamente non c’è confronto) bisogna prima di tutto credere in se stessi. La prima nemica dell’Europa non è l’Amministrazione Trump, è l’Europa. In cinque Paesi oltre il 50% dell’elettorato è euroscettico: Ungheria, Italia, Polonia, Francia e Grecia. In due la percentuale oscilla tra il 25 e il 50% (Svezia e Paesi Bassi). Negli altri, Germania compresa, è in forte crescita. La Svizzera non fa politicamente parte dell’Ue, ma aderisce a molti dei suoi valori. E il dibattito sulla neutralità dimostra quanto sia difficile, anche nel nostro Paese, immaginare una strategia comune col resto del continente.
Eppure, «ahora es cuando», non ci sarà dato un altro momento per derogare alla responsabilità di unire le forze per cercare di creare una riserva mondiale di democraticità, gli Stati Uniti del mondo libero. O lo si fa ora, tutti insieme, o finiremo condannati nel migliore dei casi all’irrilevanza planetaria.