Verso una Svizzera «germanizzata»?

by Claudia

Appenzello esterno ha rinunciato all’insegnamento del francese nella scuola elementare e altri Cantoni tedescofoni ci stanno pensando. Il futuro incerto delle lingue nazionali minoritarie

Il termine, a quanto pare, non ha un’origine precisa. Ce lo dice il Dizionario storico della Svizzera. Sta di fatto che il «Röstigraben» torna regolarmente a ravvivare la vita politica del nostro Paese. È successo ad esempio per alcune votazioni popolari che hanno lasciato una traccia indelebile nella nostra storia recente, una su tutte quella che portò alla bocciatura dello Spazio economico europeo, con la Svizzera tedesca (e con essa anche il Ticino ma non Basilea) a schierarsi per il fronte dei «Nein-sager», mentre la Romandia aveva sostenuto con forza questa svolta europeista. Era il 6 dicembre del 1992, forse uno dei giorni di maggiore incomprensione tra la maggioranza tedescofona e la prima minoranza del nostro Paese, quella francofona. Da allora quel «fossato dei Rösti» torna di tanto in tanto a farsi sentire, in questa «Willensnation» che esiste grazie alla volontà delle sue comunità culturali e linguistiche che convivono sotto un’unica bandiera.

Una delle leve per riuscire a cementare questa coesione è senza dubbio quella linguistica. Non per nulla la Legge federale sulle lingue mira a «rafforzare il quadrilinguismo quale elemento essenziale della Svizzera», con un’attenzione particolare all’insegnamento, ambito in cui, nel rispetto delle loro competenze «Confederazione e Cantoni promuovono il plurilinguismo degli allievi e dei docenti». Facile a dirsi, ma molto complesso a farsi, anche perché il federalismo elvetico assegna ai Cantoni ampie competenze per quanto riguarda la gestione della scuola e quindi anche dell’insegnamento delle lingue. Ne scaturisce un mosaico di impostazioni scolastiche che a volte va a cozzare proprio contro il principio della coesione nazionale. Un ambito politicamente delicato e in cui sono più volte emerse polemiche e tensioni, in particolare per quanto riguarda l’insegnamento del francese nei Cantoni svizzero-tedeschi. Una problematica che sembrava risolta, ma che di recente è tornata ad infiammarsi.

In parecchi Cantoni tedescofoni – e la lista è piuttosto corposa: Turgovia, Argovia, Svitto, Berna, Zurigo, Zugo, Lucerna e San Gallo – si sta facendo sentire con forza la voce di chi chiede di rinunciare all’insegnamento del francese nella scuola elementare, il cosiddetto «Frühfranzösich». Appenzello esterno ha già compiuto questo passo lo scorso mese di marzo, con una decisione del Parlamento cantonale. Dopo 30 anni di insegnamento, il francese viene così «espulso» dalla scuola elementare appenzellese, dove invece rimarranno le lezioni di inglese. Al posto della lingua di Molière verrà intensificato l’apprendimento della matematica e del tedesco. Così ha deciso questo piccolo Cantone della Svizzera orientale, una realtà periferica che potrebbe però fare scuola anche in altre regioni del nostro Paese. Oltralpe, a dipendenza dei Cantoni, il francese viene oggi insegnato a partire dalla terza o dalla quinta elementare, e questo vale anche per l’inglese, che in diversi Cantoni è la prima lingua straniera a finire sui banchi di scuola.

Va detto che agli allievi di questi Cantoni tedescofoni viene servito un menù linguistico piuttosto corposo, anche perché per molti di loro il tedesco, nel senso di Hochdeutsch, non può essere considerato una vera e propria lingua madre, visto che a casa viene parlato lo Switzerdütsch oppure, nelle famiglie straniere, la lingua del Paese d’origine. Per questo motivo una parte dei docenti si lamenta per il sovraccarico che tutto questo comporta per una buona parte degli allievi e anche per gli stessi insegnanti. Da qui la richiesta formulata a voce sempre più alta di posticipare l’insegnamento del francese, a partire dalla scuola media. Anche la politica si è mossa, in particolare lo ha fatto il Partito liberale radicale svizzero che l’anno scorso ha presentato una serie di richieste in ambito scolastico: una di queste chiede proprio di dare «priorità all’apprendimento della prima lingua». Questo perché «il declino delle competenze linguistiche nelle lingue nazionali locali è un segnale d’allarme che parla da sé».

La pressione sul francese è dunque sempre più forte, con la Svizzera romanda che guarda con preoccupazione a quello che potrebbe capitare nelle scuole dei Cantoni tedescofoni. Un declassamento del francese non farebbe che scavare ancora più il «Röstigraben» che attraversa il nostro Paese, con possibili ricadute negative anche sull’insegnamento dell’italiano, che rischierebbe di finire sempre di più ai margini del sistema scolastico di parecchi Cantoni d’oltre San Gottardo. Non per nulla sul tema sono di recente intervenute diverse associazioni: il Forum du Bilinguisme, Coscienza svizzera, il Forum per l’italiano in Svizzera e Helvetia latina. In una presa di posizione congiunta dello scorso 24 aprile esortano le autorità federali e cantonali a mantenere «l’insegnamento di una seconda lingua nazionale a livello primario in tutti i Cantoni svizzeri».

Per quanto riguarda il francese queste associazioni ricordano che è parlato da quasi un quarto della popolazione svizzera, il suo apprendimento «è un elemento essenziale della coesione nazionale». A loro dire c’è il rischio di «un calo della motivazione e dell’interesse per questa lingua, essenziale per la vita professionale e sociale in Svizzera». Per il francese i tempi sembrano però essere davvero difficili, visto che persino nella città di Berna è stato deciso di sopprimere le classi bilingue nelle scuole cittadine a partire dal 2026. Una decisione che ha mandato su tutte le furie la minoranza francofona bernese, con la Romandia che si sente tradita proprio dalla capitale svizzera, città che dovrebbe pur sempre fungere da esempio per il resto del Paese. E c’è tensione anche a Friburgo, la città dove scorre la Sarine (o die Saane) il fiume che di fatto separa la Svizzera tedesca da quella francese. A far discutere è la volontà del Consiglio comunale di modificare il logo cittadino, per renderlo bilingue. Un progetto che non piace per nulla alla maggioranza francofona, a cui appartiene l’85% dei cittadini di Friburgo. A detta della Communauté Romande du Pays de Fribourg c’è il rischio di una «germanizzazione a tutti i costi delle istituzioni». Tempi difficili dunque per il francese, in diversi contesti del nostro Paese. Il «Röstigraben» è ancora lì, a ricordarci che la «pace della lingue» non è mai data una volta per sempre.