La scuola come novità

by Claudia

«Credo che la scuola oggi abbia un’occasione straordinaria, ossia di essere ripensata dall’inizio».

Sono parole di Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute Svizzera Italiana, a conclusione di un suo commento a proposito di un recente sondaggio svolto dal MPS tra gli studenti da cui emerge il disagio dei giovani confrontati con un sistema educativo ansiogeno e selettivo: molti ragazzi ricorrono a lezioni private, ma non tutti possono permetterselo. Si tratta di una questione che merita molta attenzione.

Condivido l’invito a ripensare la scuola dall’inizio, ovvero a orientare la questione verso una domanda di fondo, verso un approccio radicale al senso della scuola. Innanzitutto chiediamoci: da dove arrivano gli allievi? Quale visione del mondo, e della scuola, si portano addosso quando entrano nelle aule?

La risposta a me pare scontata: lo spirito del tempo avvolge oggi le aspettative di allievi e genitori in atmosfere sempre più utilitaristiche. In sintonia con questo clima culturale, la scuola si preoccupa sempre più di valorizzare l’acquisto di competenze, di saperi utili, che diventano così l’obiettivo privilegiato del fare scuola. L’uso della parola acquisto è solo una piccola provocazione nei confronti del pervasivo linguaggio del mercato di cui rischiamo un po’ tutti di diventare clienti. Tutto ciò con buona pace della lentezza della riflessione, del valore dell’esperienza intima e personale della conoscenza, piena di gratuità e di bellezza fine a se stessa, a prescindere dalle sue possibili ricadute utili.

Ripensare la scuola vuol dire allora resistere a questo mainstream, resistendo a forme di accoglienza, comprensibili e belle, ma un po’ avvelenate, proprio come la mela di Biancaneve, che spingono la scuola ad assecondare le richieste della società anche quando si rivelino perlomeno riduttive rispetto al compito educativo.

La necessità di ripensare la scuola mi ha riportato ad un’idea che coltivo da tempo, e cioè che la scuola deve avere il coraggio di stare un po’ altrove rispetto al mondo esterno. Deve avere il coraggio di essere, o meglio di esserci, come qualcosa d’altro: una vera novità, in un mondo che con il suo continuo «innovarsi», del nuovo e dell’inatteso ha smarrito il significato autentico. Eppure, come ricorda Edgar Morin nel suo saggio I sette saperi fondamentali, l’inatteso è una realtà da accogliere e valorizzare, al di là del bisogno di prevedere e controllare tutto. Che cosa può essere allora questa novità inattesa della scuola, del suo stare un po’ altrove rispetto al mondo esterno?

Oggi i ragazzi, ma non solo loro, vivono immersi nel deserto di relazioni virtuali, fatte di immagini e di esperienze senza corpo. La scuola può essere allora l’altrove della fisicità, dell’esperienza fisica dell’aula, dei suoi odori, dei suoi rumori, dell’incontro con il corpo vivente dell’altro, con voci piene di parole vive e vibranti, parole ascoltate fin dentro lo sguardo, lasciandosi toccare dal volto dell’altro che ci interpella. Oggi i giovani, ma non solo loro, vivono un’agitazione perenne in cui esistere significa troppo spesso saper funzionare bene, in una continua corsa ad ostacoli verso il successo. L’altrove della scuola può essere allora la lentezza di un’esperienza intima e condivisa del mondo, quando il sapere dei Maestri è solo un invito a riconoscerne la bellezza; un invito a sostare, con calma, senza fretta, dentro le proprie domande, senza l’assillo di trovare subito la risposta giusta.

In queste atmosfere l’esperienza della conoscenza può essere allora novità bella, incontro con se stessi e incontro autentico con l’Altro.

Ecco, mi piace ripensare la scuola come luogo in cui intravvedere e far sbocciare un altro mondo possibile. È un desiderio che mi accompagna da una vita; viene da lontano, da quando molti anni fa, tenevo lezioni serali di storia per lavoratori italiani nell’ambito dei corsi per l’ottenimento della licenza di scuola media. Quando iniziai ad avvicinarli alla materia parlando della loro esperienza di immigrazione ci fu una vera e propria insurrezione: era come se volessero rimuovere il loro vissuto di fatica e sofferenza e mi chiedessero di raccontare loro la storia con la S maiuscola: volevano conoscere le vicende grandiose dell’umanità. Con questo immaginario un po’ ingenuo, erano alla ricerca del non ancor visto che potesse aprire il loro sguardo altrove come esperienza feconda del possibile.

Questo ricordo indelebile mi fa pensare che forse anche i ragazzi, in una scuola che li sappia sorprendere da un altrove, potrebbero cominciare ad apprezzarne la novità: una novità in cui liberarsi da tanti vissuti di fragilità che si portano addosso, dentro la solitudine e le false protezioni del mondo virtuale.