Il Landesmuseum di Zurigo riscrive la storia di quello che è molto più di un genere musicale
Cosa ci fa la musica techno in un museo nazionale? A Zurigo, al Landesmuseum, la risposta è chiara: racconta una storia che ha plasmato intere generazioni. «teCHno» è una mostra sorprendente, che celebra la scena elettronica svizzera accanto a quelle di Berlino e Detroit.
La prima cosa che colpisce è il tono: finalmente si parla di techno e delle culture che le ruotano attorno – moda, grafica, design, danza – con la stessa dignità e lo stesso rigore con cui si trattano altri generi musicali più «istituzionali». Si raccontano occupazioni, spazi autogestiti e processi di riappropriazione urbana con serenità storiografica, come pratiche legittime, persino salutari, per il tessuto culturale di una città. Infatti la techno, dal 2024, è ufficialmente diventata patrimonio immateriale dell’umanità. L’UNESCO – l’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura – ha riconosciuto la scena techno berlinese come bene culturale, includendo non solo il genere musicale, ma anche l’intera rete di club e rave che ne costituiscono il cuore pulsante. E non si può fare a meno di pensare a quanto invece, a sud delle Alpi, il fenomeno techno sia ancora vissuto con sospetto, a metà tra problema di ordine pubblico e questione di salute. Un atteggiamento di diffidenza forse rafforzato dalla vicinanza con l’Italia e dal recente decreto anti-rave voluto dall’attuale Governo, che ha criminalizzato pesantemente il movimento, prevedendo pene fino a sei anni di carcere non solo per gli organizzatori, ma anche per i partecipanti.
L’esposizione, suddivisa in cinque sezioni, si apre con un’analisi del contesto storico e tecnologico in cui la musica techno è emersa. Negli anni Ottanta, l’accessibilità crescente delle tecnologie musicali ha accompagnato l’esplosione di una controcultura elettronica viva e radicale. Zurigo, in quel periodo, era un laboratorio fertile di sperimentazione artistica e sociale. Occupazioni e «TAZ – Zone temporaneamente autonome» nascevano di continuo. Un momento chiave? La prima edizione della Street Parade che si è tenuta nel 1992, ispirata alla celebre Love Parade di Berlino. All’inizio erano solo poche centinaia di partecipanti, ma da quel nucleo è nato uno degli eventi simbolo dell’estate svizzera, capace oggi di attirare ogni anno quasi un milione di persone da tutto il mondo.
Un approfondimento è dedicato agli spazi: quei club, magazzini dismessi e capannoni industriali che hanno ospitato notti indimenticabili, raccontate oggi tramite interviste ai testimoni dell’epoca. La scenografia della mostra è immersiva e coerente: bancali, casse, superfici metalliche e luci evocano l’atmosfera dei dancefloor. E si racconta anche la metamorfosi di questi luoghi: da epicentri underground a catalizzatori di processi di gentrificazione.
Una sezione della mostra approfondisce la figura del DJ come sperimentatore, innovatore, artefice di nuove estetiche sonore. E un angolo dell’esposizione è allestito come un vero negozio di dischi, dove è possibile ascoltare brani rari e (ri)scoprire artisti meno noti. Non manca un’analisi, seria e non moralistica, del rapporto fra techno e sostanze: si parla apertamente di consumo, ma anche degli avanzati progetti di riduzione del danno, come i laboratori mobili per il testing delle pastiglie direttamente nei luoghi di consumo.
Poco spazio, invece, riservato al Ticino. Una interessante video-intervista a Luca Tavaglione, alias DJ Lukas, primo ticinese a salire su un carro della Street Parade di Zurigo. Spulciando tra i volantini d’epoca esposti, si trova qualche altra traccia sudalpina: due flyer degli anni Novanta delle feste dedicate alla musica commerciale all’Alcatraz di Riazzino (poi discoteca Vanilla, oggi centro formativo), e un evento al Fevi di Locarno, Destination Rainbow, datato 18 settembre 1993, con musica dalle 22 alle 10 del mattino successivo. Ma l’immagine esposta più eloquente e che rappresenta il Ticino è il grande manifesto della Città di Lugano, datato 2009, contro i «rumori molesti», a ricordarci che, almeno da queste parti, la techno non ha mai trovato davvero un riconoscimento istituzionale.
Eppure, anche da noi, seppur senza mai un vero riconoscimento istituzionale, la musica elettronica ha avuto un periodo d’oro. Resta viva la memoria delle notti techno ai Molini Bernasconi e dei rave al Maglio di Canobbio della fine dello scorso millennio. Due delle esperienze attive in questo ambito in Ticino in quegli anni sono stati Ponte ologrammi, specializzata in musica ambient e chillout, e il collettivo XXXEKS che si occupava invece dei generi più spinti, con ritmi che superavano i 180 battiti al minuto.
Non legato all’esposizione a Zurigo, ma perfettamente complementare, segnalo The Rave Party – una storia proibita, il podcast curato dallo scrittore e saggista Marco Mancassola: una storia intensa e collettiva del movimento techno, che parte dall’Inghilterra degli anni Ottanta e arriva all’oggi attraversando le generazioni. Disponibile gratuitamente su tutte le principali piattaforme di streaming.
La mostra «teCHno» resta visitabile fino a metà agosto, così che anche chi accorrerà in città per la prossima Street Parade possa approfittarne. Sul sito del museo è disponibile anche una completa playlist di brani musicali. Una visita consigliata anche per chi pensa di sapere già tutto sulla techno, o per chi è interessato a capire come anche fenomeni di controcultura «underground» siano fondamentali per la vivacità culturale di una regione e per la qualità di vita dei suoi abitanti.