La Fondazione Braglia di Lugano celebra il primo decennio di attività con una mostra che racconta la storia della collezione
«Quale opera rubiamo questa notte?»: l’ironica domanda sorgeva spontanea ogniqualvolta Anna e Gabriele Braglia uscivano da un museo o da una galleria d’arte. Era il loro modo per fare un primo confronto tra le rispettive impressioni scaturite dai lavori appena visti. Un modo per testare se, come spesso accadeva, fossero sulla stessa lunghezza d’onda.
E difatti i Braglia sono sempre stati complici, legati da una profonda concordanza di gusti e di inclinazioni che ha reso naturalmente appagante mettere insieme la loro raccolta. Un collezionismo «di pancia», quello dei due coniugi, guidato esclusivamente dalle emozioni che le opere riuscivano a suscitare in loro.
Nessuna speculazione, nessuna dipendenza dalle logiche del mercato ha mai influenzato le scelte della coppia: a fare da guida la semplice gioia trasmessa da un dipinto o da una scultura nonché l’istinto, quella spinta a scegliere senza preconcetti, regole o limitazioni, che ha portato Anna e Gabriele a interessarsi non solo ai grandi nomi dell’arte ma anche a figure meno importanti, sempre però capaci di regalare con le loro opere piacere estetico e soddisfazione interiore.
Ogni pezzo appartenente alla raccolta è stato voluto con determinazione dai due collezionisti e per questo racchiude tante storie e aneddoti a loro legati. L’insieme di tutti questi lavori che hanno affascinato i Braglia è diventato così il racconto della loro vita, del loro grande amore per l’arte che li ha visti procedere all’unisono con libertà ed entusiasmo.
Il 2025 segna il primo decennio di attività della Fondazione intitolata ai due coniugi: voluta soprattutto da Anna Braglia, scomparsa proprio lo stesso anno della sua istituzione, questa Fondazione è nata con l’intento di salvaguardare le opere della collezione. Per festeggiare tale ricorrenza sono state pensate due mostre, la prima delle quali, allestita negli spazi luganesi fino a luglio, si pone come una piacevole narrazione dello sviluppo della passione artistica della coppia nel corso di oltre sessant’anni.
Estremi cronologici di questo racconto sono da una parte la bella tempera di Mario Sironi Figura seduta, regalo di Gabriele alla moglie per il Natale del 1957 e primo acquisto artistico dei Braglia, dall’altra una delle acquisizioni più recenti, un disegno di Pablo Picasso intitolato Jeune femme dans un café realizzato dal maestro spagnolo nel 1898-99, quando, appena diciassettenne, firmava ancora le sue creazioni con il cognome del soffocante padre pittore, «Ruiz», poi sostituito con quello della madre di origine genovese che lo ha portato alla celebrità.
In mezzo a questi due punti di riferimento che segnano il principio e la più attuale prosecuzione dell’avventura collezionistica dei Braglia ci sono molte opere che rispecchiano le preferenze artistiche dei due coniugi. Sono lavori che vanno a delineare un percorso ben preciso e che testimoniano, pur nella loro varietà, l’iniziale interesse di Anna e Gabriele per l’arte italiana, ampliatosi poi, nel corso del tempo, verso il panorama internazionale.
Spesso i dipinti esposti raccontano anche il rapporto di stima e di amicizia che i Braglia hanno instaurato con gli artisti stessi. Il pittore Zoran Mušič, ad esempio, presente in mostra con la tela Il cavallino celeste e con un pastello su carta intitolato Motivo italiano (Fiori di Cortina), è stato una delle figure che Anna e Gabriele hanno più amato. I due conoscono l’artista italo-sloveno nel 1962 a Cortina d’Ampezzo ed è in questa occasione che acquistano il pastello appena citato. L’incontro successivo con Mušič avviene negli anni Ottanta, questa volta a Venezia, dove vengono colpiti dal suo linguaggio peculiare in grado di esprimere la tragicità di vicende forti e la serenità di scene bucoliche con la medesima profondità di spirito. Di questo pittore i Braglia sono arrivati così a collezionare molte opere, ritrovandosi a possedere, senza alcuna premeditazione ma spinti solo da un istintivo bisogno di approfondire la sua arte, lavori che documentano quasi interamente il suo percorso creativo.
Quanto l’attenzione dei due coniugi si sia rivolta anche ad artisti meno noti è dimostrato dalla presenza di dipinti quali L’ora dell’appello, un olio del 1930 di Giuseppe Cesetti che evoca le terre etrusche quiete e assolate da cui il pittore proviene. Quest’opera è stata acquistata dai Braglia in una galleria di Cortina d’Ampezzo nei primi anni Sessanta, proprio dopo un viaggio nella Maremma. Il grande quadro raffigurante una mandria di buoi al tramonto richiamati da un buttero ha conquistato i due collezionisti grazie ai suoi colori caldi e a quell’atmosfera senza tempo dove una natura quasi primordiale pare ancora elargire agli uomini i suoi preziosi insegnamenti. Un lavoro rasserenante e intimo che è sempre stato uno dei pezzi più cari ai Braglia.
Tra i dipinti prediletti dalla coppia c’è anche la tela intitolata Burano del pittore veneziano Gino Rossi, tormentato artista dallo stile capace di coniugare il colorismo della tradizione veneta e la pittura francese. Suoi referenti principali sono Gauguin, Cézanne e Matisse, dei quali apprezza la sintesi formale e la libertà cromatica. Ad affascinare i Braglia è stato proprio il modo in cui Rossi ha saputo cogliere la bellezza incontaminata dell’isola di Burano restituendone un’immagine intrisa di sentimento.
Non lontano da una piccola sezione tutta futurista che documenta l’interesse dei due collezionisti per Gino Severini, Giacomo Balla e Fortunato Depero, troviamo in mostra due opere che paiono in stretto dialogo tra loro: un Concetto spaziale di Lucio Fontana e una Combustione di Alberto Burri. Entrambe datate 1964, esse spartiscono il medesimo rivoluzionario approccio all’arte. La prima per la concezione dello spazio inteso come una vera e propria apertura verso una dimensione ulteriore che travalica i limiti della tela, la seconda per la trattazione della materia colta nel flusso energetico e vitale che la percorre.
Sfilano poi opere di Giorgio Morandi, Maurice Utrillo, Marc Chagall, Joan Miró, René Magritte, Max Ernst, Keith Haring e Fernando Botero, a dimostrazione della vasta portata dello sguardo dei Braglia.
Di grande impatto è il dipinto Retrato de una Dama II, datato 2014, del visionario artista spagnolo Manolo Valdés, la cui eccezionale attitudine alla sperimentazione non poteva che essere apprezzata dai due collezionisti. Mantenendo come solido punto di partenza i modelli della storia artistica del passato, Valdés reinterpreta e rielabora i lavori dei grandi maestri antichi e moderni attualizzandoli in maniera totale, nel senso e nel valore estetico. Con la sua pittura corposa e imperfetta, fatta di tele abitate da sostanze grezze e solide, spesso depositate sulla superficie sotto forma di accumulo, l’artista riesce così a raggiungere modalità espressive nuove lasciandosi suggestionare dalla nobile tradizione per riuscire a sondare la realtà del suo tempo.
Ci piace citare, in chiusura, l’opera Ritratto di Gabriele che l’artista milanese Enzo Fiore ha realizzato nel 2018. Con la sua accurata manualità, il pittore ha effigiato Gabriele Braglia utilizzando i propri materiali privilegiati, quelli che fin dai suoi esordi preleva dal contesto naturale per renderli uno strumento di riflessione sui concetti di principio, di fine e di rigenerazione: ecco allora che dalla stratificazione di terra, radici, rami e foglie emerge il volto di un uomo dall’espressione curiosa e fiera, amante della bellezza e della gioia che l’arte sa infondere in chi ha l’animo aperto a riceverla.