«Non la si voleva in Consiglio federale»

by Claudia

Il 18 aprile è mancata Christiane Brunner, figura anticonformista e carismatica (e forse soprattutto scomoda) che per una vita ha lottato per l’uguaglianza in Svizzera

«Mentre altri discutevano ancora sull’uguaglianza di genere, Christiane Brunner portava mezzo milione di donne in piazza. E lo faceva da bionda, elegante, con una vivacità e una gioia contagiose. Non c’è quindi da stupirsi se in molti non la vollero in Consiglio federale». Così la filosofa politica e autrice di libri di successo Regula Stämpfli ricorda Christiane Brunner, figura carismatica con cui ha condiviso parte del percorso politico e della lotta per l’uguaglianza in Svizzera. «Negli anni Novanta ero una giovane studentessa e nutrivo una grande ammirazione per questa donna che, come me, veniva dalla classe operaia».

Le due si incontrano per la prima volta nel 1990 in occasione di una conferenza delle donne socialiste. Regula Stämpfli tiene un intervento sullo sciopero femminile del 1975 in Islanda, dopo aver partecipato a un simposio dell’UNESCO a Oslo dedicato al ruolo delle donne in politica. Tra Brunner e Stämpfli nasce un’amicizia sincera. «Era una donna travolgente, arguta e divertente». Ma all’epoca non tutti la pensano così. Christiane Brunner metteva in discussione valori consolidati e ruoli tradizionali. «Era una donna che aveva avuto diversi compagni, viveva in una famiglia patchwork, con un figlio proprio, uno adottivo e tre figli affidatari», ricorda Stämpfli. «Negli anni Novanta, in una Svizzera palesemente maschilista, era troppo per gli uomini».

Nel 1993, Christiane Brunner, giurista, già co-presidente dell’Unione sindacale svizzera e consigliera nazionale ginevrina, era l’unica candidata ufficiale del Partito socialista. Doveva succedere al neocastellano René Felber in Consiglio federale. Dopo settimane di campagna mediatica denigratoria, sessista e misogina, condotta in particolare dal tabloid zurighese, il quotidiano più diffuso in Svizzera, il 3 marzo l’Assemblea federale, a maggioranza borghese, le preferisce Francis Matthey. È la seconda volta, a dieci anni dalla mancata elezione di Lilian Uchtenhagen, che il Parlamento nega l’accesso al Governo a una donna socialista. «La sua forte identità femminista e il suo modo di porsi erano visti come una minaccia dagli uomini», sottolinea Stämpfli, che dedicherà una puntata del suo podcast settimanale Die Podcastin all’eredità politica di Brunner. «Fu una sconfitta enorme, non solo per Christiane, ma per tutte le donne. Ma lei reagì da figlia della classe operaria: incassò il colpo, tornò al lavoro e continuò la lotta politica a favore delle donne».

Già nella sala del Consiglio nazionale, Christiane Brunner sente la solidarietà delle compagne di partito e delle persone presenti sulle tribune. Ma è soprattutto la piazza a manifestarle la propria vicinanza. Dopo una settimana di proteste in diverse città svizzere, il 10 marzo oltre 10’000 persone si radunano sulla Piazza federale: è un concerto di fischietti e di cori che scandiscono il suo nome. Sotto la Cupola di Palazzo, le due Camere federali riunite devono scegliere tra il ticket Christiane Brunner-Ruth Dreifuss. Messo sotto pressione dal partito e per evitare una crisi interna al PS, Francis Mattey aveva infatti rinunciato, suo malgrado, al seggio in Governo. Alla fine, Dreifuss viene eletta al terzo turno, diventando la seconda consigliera federale dopo la liberale radicale Elisabeth Kopp. Per la maggioranza borghese rappresentava il male minore rispetto a Christiane Brunner, considerata troppo di sinistra e troppo anticonformista. Subito dopo il giuramento davanti all’Assemblea federale, le due donne considerate gemelle politiche escono insieme per accogliere l’abbraccio della piazza. «Ho dovuto salire sul palco per consolare le donne deluse. Ma non è stato facile parlare alla folla», ricorderà in seguito Brunner.

«Le circostanze di quella elezione hanno avuto diverse conseguenze destinate a segnare a lungo la politica svizzera», si legge nel Lessico del Consiglio federale curato da Urs Altermatt. «Il cosiddetto “effetto Brunner” ha portato a un netto aumento della presenza femminile negli esecutivi, nei partiti e nelle associazioni. Un’altra conseguenza di quel voto turbolento è che, da allora, i gruppi parlamentari dell’Assemblea federale presentano quasi sempre due candidati per ridurre il rischio di candidature selvagge».

Ma chi era questa donna che seppe scuotere il patriarcato svizzero? Nata il 23 marzo 1947, Christiane Brunner cresce in condizioni economiche precarie nel quartiere popolare di Eaux-Vives, a Ginevra. Il padre muore giovane, la madre mantiene la famiglia lavorando come sarta e sogna per la figlia un futuro da cassiera alla Migros. Non la pensa così una sua insegnante che intuisce che è destinata ad altro. La iscrive a un concorso per una borsa di studio. Brunner frequenta il liceo e poi studia diritto. Nel 1969 partecipa alla fondazione del Movimento di liberazione della donna in Svizzera. Si iscrive al Partito Socialista nel 1976, dando inizio a una carriera politica che la porterà nel Gran Consiglio ginevrino, quindi nel Consiglio nazionale e infine nel Consiglio degli Stati.

Tra il 2000 e il 2004 guiderà anche il Partito Socialista svizzero, in un momento in cui il PS si trovava in una crisi profonda. Ma Christiane Brunner è stata anche e soprattutto una sindacalista. Ha presieduto il Sindacato del personale dei servizi pubblici, la Federazione svizzera dei lavoratori della metallurgia e dell’orologeria e, infine, è stata copresidente dell’Unione sindacale svizzera insieme a Vasco Pedrina. Il suo più grande successo popolare resta lo sciopero femminile del 14 giugno 1991. «È stata una sua iniziativa», ha ricordato Ruth Dreifuss in una recente intervista alla RSI. «Sapeva come trascinare la folla. Il simbolo del sole e del colore viola sono merito suo».

A oltre trent’anni dalla sua non elezione in Consiglio federale, chiediamo a Regula Stämpfli se oggi Christiane Brunner verrebbe scelta dall’attuale Assemblea federale. La politologa non ha dubbi: «No. E probabilmente non per colpa della destra, ma del gruppo parlamentare socialista che ancora oggi non le perdonerebbe il suo fare sbarazzino, la sua personalità forte e il suo pragmatismo politico».