Se la guerra è combattuta sul tuo corpo

by Claudia

Le violenze sessuali: una delle armi più terribili dall’Ucraina al Bangladesh, passando per Ruanda, Bosnia e Congo

Ci sono argomenti per cui, anche per chi vive di parole, trovare le parole sembra quasi impossibile. L’orrore, come il dolore profondo, difficilmente si esprime a parole. Lo ritrovi negli sguardi persi dei sopravvissuti, nel linguaggio di un corpo che è stato spezzato, violato e poi rimandato per strada. Lasciato a continuare ad esistere nel mondo quando la vita, quella dell’anima, quella dello spirito, lo ha abbandonato da un pezzo. Le parole escono frammentate, di frequente incoerenti. Spesso la mente rifiuta di tornare a quelle immagini. Immagini di guerra, di devastazione. Immagini di momenti in cui la guerra è stata combattuta non tra case e strade, ma sul tuo corpo. Perché lo stupro, quello adoperato come vera e propria arma di guerra e di pulizia etnica, come strumento di umiliazione e di annientamento non solo fisico ma anche psicologico, culturale e morale del «nemico», non conosce (o non conosce più) differenze di genere. E nonostante leggi internazionali e convenzioni, nonostante sull’argomento siano state spese migliaia di parole e scritte tonnellate di carta, continua a essere utilizzato in guerra come strumento per incutere paura, come vera e propria strategia militare per terrorizzare le comunità aggredite e distruggere la loro dignità.

Il caso più recente, raccontato da «Le Monde» (leggi box in basso), è quello della Russia, e dell’uso sistematico dello stupro come vera e propria arma di guerra adoperato nei confronti della popolazione Ucraina: nei confronti di donne, bambini e uomini. Difficile fornire dei numeri precisi, perché molti stupri, specie quelli ai danni di uomini e ragazzi, non vengono nemmeno denunciati o riportati. La vergogna, l’umiliazione, creano attorno ai crimini di guerra una vera e propria coltre di silenzio che contribuisce alla sostanziale impunità dei colpevoli. Un recente rapporto stilato dalla rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale nei conflitti, Pramila Patten, elenca 18 Paesi in cui le persone – soprattutto donne e minori – vengono stuprate in guerra, e nomina 12 eserciti e forze di polizia e 39 attori non statali. Le Convenzioni di Ginevra del 1949 riconoscono la violenza sessuale durante i conflitti in termini generali. Lo Statuto di Roma (della Corte penale internazionale) classifica lo stupro e altre forme di violenza sessuale come crimini contro l’umanità e crimini di guerra, a seconda del contesto in cui vengono commessi. In determinate circostanze, la violenza sessuale può essere classificata come un crimine di tortura o un atto di genocidio. Vari altri organismi nazionali e internazionali hanno condannato l’uso della violenza sessuale nei conflitti: ma quasi mai i colpevoli sono stati portati davanti a un tribunale o davanti a una corte militare. Ci sono voluti più di 50 anni per portare alla luce uno dei primi casi registrati nel XX secolo di stupro utilizzato come «arma di guerra applicata consapevolmente»: durante il conflitto che portò alla nascita del Bangladesh nel 1971, campi di stupro di tipo militare furono istituiti in tutto il Paese. Le stime indicano che il numero di donne bengalesi violate è compreso tra 200’000 e 400’000, e si tratta di una stima «prudente». D’altra parte, l’esercito pakistano non ha mai perso il vizio: lo stupro viene adoperato sistematicamente nei confronti delle donne beluci arrestate e fatte sparire dall’intelligence e dall’esercito. E la lista degli orrori è ancora lunga e copre gran parte del mondo.

Nel 2017 oltre 700’000 musulmani rohingya sono scappati per sfuggire al genocidio in Myanmar: tra loro c’erano migliaia di donne e bambini che avevano subito orribili violenze sessuali per mano dei soldati birmani. Migliaia di donne sono state vittime di stupro nella guerra civile del Sud Sudan. La guerra civile dello Sri Lanka è terminata nel 2009, ma i membri della minoranza tamil affermano di essere ancora spesso vittime di torture, compresi gli stupri, quando vengono presi di mira dalle forze di sicurezza. Il Ruanda, la Bosnia e la Repubblica Democratica del Congo hanno tutti sperimentato la violenza sessuale come strumento di guerra. La stessa tecnica è stata adoperata da Boko Haram in Nigeria, che ha violentato, torturato e poi venduto migliaia di persone sequestrate nei villaggi e nelle scuole. E la stessa strategia è stata adottata per anni in Siria dai macellai dell’Isis nei confronti delle donne Yazidi. Oltre 7000 donne sono state sequestrate, stuprate, messe incinta, usate come schiave sessuali per remunerare i combattenti, vendute sul mercato globale del sesso in veri e propri mercati di schiavi. Molte sono state liberate, altrettante sono ancora disperse, probabilmente in campi di detenzione come Al-Hawl, nel nord-est della Siria, insieme ai terroristi dell’Isis. Una è stata liberata di recente dall’esercito israeliano a Gaza, dove viveva da anni come schiava di un dirigente locale di Hamas.

E quello di Hamas e della violenza perpetrata nei confronti delle donne israeliane è uno dei capitoli più difficili da raccontare. «Quello a cui ho assistito in Israele sono scene di indicibile violenza perpetrate con una brutalità scioccante», ha dichiarato ancora Patten, la rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni unite per la violenza sessuale nei conflitti. «È stato un catalogo delle forme più estreme e disumane di uccisione, tortura e altri orrori». Secondo il rapporto, sono stati recuperati diversi corpi, nudi dalla vita in giù, per lo più «donne con le mani legate e colpite più volte, spesso alla testa». E questa non è nemmeno l’immagine peggiore che si possa evocare parlando di ciò che è successo il 7 ottobre 2023. I corpi parlano e raccontano la loro storia, a cui fanno eco i racconti dell’orrore dei sopravvissuti. Eppure, in questo caso, le donne israeliane sono state due volte vittima: vittime prima di violenze indicibili, e poi vittime di un conflitto ideologico giocato sulla loro pelle. Ci sono voluti mesi prima che le Nazioni unite si decidessero a stilare il rapporto che conferma ufficialmente le violenze subite. E ancora, c’è chi dubita di ciò che è davvero successo nonostante le immagini siano state in gran parte messe in Rete dagli stessi terroristi di Hamas. Così come, sempre per motivi ideologici, molti si rifiutano di credere alle vittime e di denunciare ciò che succede alle donne nelle prigioni afghane o iraniane. E così, nonostante i nostri presunti altissimi standard morali, nonostante leggi e convenzioni internazionali, le guerre, che siano fisiche o ideologiche, che siano di conquista o di difesa, oltre i confini o guerre civili, si combattono ancora sullo stesso campo di battaglia adoperato per secoli da tutti i predatori del passato: soprattutto il corpo delle donne (anche se non solo). Ed, esattamente come in passato, nessuno viene davvero sanzionato per questo.