Uccidere le donne e parlarne

by Claudia

Aumenta la violenza di genere, tra una narrazione mediatica edulcorata e quella sommersa inneggiante alla violenza

«Le parole sono importanti», recitava una frase ormai diventata iconica di Palombella Rossa, vecchio film di Nanni Moretti. «Le parole sono confuse», ci verrebbe da aggiungere, pensando a come, nell’ambito della narrazione della violenza di genere, se da una parte per descrivere certi fenomeni si casca sempre nella stessa scelta, dall’altra ogni giorno nascono definizioni nuove, soprattutto nel linguaggio giovanile votato all’odio. Il tragico fenomeno dei femminicidi che contrappunta la cronaca della nostra era, dunque, se ancora e molto spesso viene descritto come «delitto passionale», o «dramma famigliare», o addirittura «raptus», in una contestualizzazione che contribuisce a indebolirne la drammaticità, la violenza e la vigliaccheria, è associato con frequenza sempre maggiore a una terminologia nuova, la cui esistenza si è rivelata al più tardi dall’apparizione sulla piattaforma Netflix dell’osannata serie di Philip Barantini, Adolescence, e che annovera tra i propri vocaboli termini come incel, chad, blackpill, redpill ecc.

Nella serie di quattro puntate interamente girate in piano sequenza (togliendo a nostro avviso mordente alla storia, ma questa è un’altra questione) si tenta di sondare la vita sommersa di, appunto, un adolescente che ha ucciso una compagna di classe. Una storia ambientata nel Regno Unito meno lontana da noi di quanto vorremmo pensare, come ci insegna la cronaca recente che ha visto l’uccisione di due giovanissime ragazze in Italia, l’omicidio di una madre e di sua figlia a Lucerna, quello di una donna nei boschi di Lodrino, e potremmo continuare a lungo. Il fil rouge che accomuna queste morti sembrerebbe una diffusa forma di odio di genere, spesso riassumibile nell’acronimo incel: involuntary celibataire. Un chiaro riferimento a quella fetta di uomini che individua nelle donne, nel loro esistere ed essere, la causa della propria solitudine, di quel celibato involontario, che autoalimenta forme d’odio sempre più estreme.

In Svizzera dall’inizio dell’anno sono state assassinate 12 donne, contro le 11 italiane,e ciò con una notevole differenza demografica. Pochi giorni orsono qualche centinaio di dimostranti si sono dati appuntamento davanti a Palazzo federale, denunciando un’impennata di omicidi di donne, in un contesto sociale che non sembra dare segni di miglioramento, e che probabilmente non può ospitarne perché non vi è abbastanza sostegno politico. Da una parte, a proteggere le donne, non vi è di certo il Codice penale svizzero, per molti aspetti obsoleto e dunque non in grado di comprendere fenomeni più recenti in ambito persecutorio, come quello del revenge porn. Dall’altra, manca quella che viene invocata da tutti i fronti, ossia un’educazione in grado di prevenire la violenza di genere con tutte le sue tragiche diramazioni. Se però il Codice penale si può aggiustare, intervenendo laddove necessario, pur nella consapevolezza che non sempre le leggi possano davvero essere dei deterrenti al crimine, in campo educativo la questione si fa più complessa. A chi spetterebbe il compito? Di nuovo alle scuole, in un presupposto che ritiene le famiglie sempre più assenti? E chi – ma soprattutto con quali mezzi – si dovrebbe occupare del mondo sommerso in cui i ragazzi sempre più spesso si inabissano, alla ricerca di sodali che rafforzino la loro frustrazione, sottoponendosi così a una sorta di «radicalizzazione di genere»?

Dopo l’omicidio delle ventenni italiane, oltre alle frasi di cordoglio per le vittime e i loro cari, sui social sono apparsi anche messaggi inneggianti all’iperviolenza di genere, una specie di corrispettivo di quel «W Turetta» (il killer di Giulia Cecchettin, le cui 75 coltellate all’ex fidanzata sono state definite dai giudici frutto di inesperienza e non di crudeltà) spuntato nei bagni del Liceo di Barletta e che, fortunatamente, ha scatenato la sana rivolta degli studenti. Anche da noi sono sempre più i giovanissimi maschi che si rifugiano in gruppi Telegram o Reddit, finendo per infilarsi nei cosiddetti rabbit hole, sorta di percorsi virtuali digitali che, in ottemperanza agli algoritmi, finiscono per trascinare gli utenti all’interno di bolle radicalizzate e alla velocità della luce rimbalzano termini nuovi come, appunto incel, chad (l’uomo che ha successo con le donne), blackpill (l’impossibilità dei giovani maschi di cambiare il proprio status) eccetera. Le realtà nascono e si formano intorno al linguaggio, da esso vengono infatti plasmate. Sui linguaggi della narrazione mediatica, così come sul Codice penale, c’è senza dubbio un margine di intervento, mentre il discorso si fa più difficile quando ci si addentra nei mondi sommersi di cui sopra, e di cui la serie ci ha indicato solamente la porta di ingresso. A noi, ora, spetterebbe scardinarla e infilarci con prepotenza in una realtà d’odio su cui non siamo al momento in grado di esercitare alcun controllo. Come dimostrano i numeri: in costante aumento il numero dei femminicidi, in costante diminuzione l’età degli assassini.