Media: intervista a Katrin Gottschalk, vicedirettrice del giornale tedesco che ci racconta come è stato affrontato il passaggio dall’edizione su carta al digitale senza rinunciare alla presenza nelle edicole
Nel panorama mediatico tedesco della carta stampata di qualità c’è un giornale che da tempo spicca più di altri perché sembra non essere toccato dalla crisi. Si tratta del settimanale tedesco «Die Zeit» che in una delle sue ultime edizioni ringrazia i lettori per la loro fedeltà visto che con 628’086 esemplari venduti si conferma al primo posto tra i media di approfondimento raggiungendo tra l’altro il più alto numero di abbonamenti nella storia del giornale con 480’118 abbonati.
Fatta eccezione per «Die Zeit», il quadro generale però non è meno critico che altrove. I numeri ci dicono che la diffusione di quotidiani e domenicali in Germania è scesa dalle 30,2 milioni di copie del 1995 agli 11,5 milioni di copie del 2023 (Fonte: Statista). E se il settimanale tedesco diretto da Giovanni Di Lorenzo fa parlare di sé per la sua ottima resistenza al trend generale del mercato, ce n’è un altro che nelle ultime settimane sta facendo parlare di sé per la sua audacia visto che è la prima testata tedesca che ha deciso di compiere il grande passo: abbandonare la carta e puntare quasi esclusivamente sul digitale. Si tratta della «taz», «die Tageszeitung», il quotidiano berlinese di sinistra fondato nel 1978 sostenuto e finanziato da una cooperativa di lettori-editori. Le due condirettrici Barbara Junge e Ulrike Winkelmann hanno infatti annunciato che a partire da ottobre del 2025 l’edizione cartacea quotidiana della «taz» smetterà di esistere. Al suo posto si punterà su vari prodotti digitali e sull’edizione cartacea del weekend. Per saperne si più ne abbiamo parlato con la vicedirettrice e responsabile del digitale Katrin Gottschalk che ha seguito i lavori da vicino.
Katrin Gottschalk, da tempo lavoravate a questa transizione dal cartaceo al digitale. Perché avete deciso di attuarla proprio adesso?
Ci eravamo dati degli obiettivi da raggiungere. Quando ne avevamo parlato in passato puntavamo al cosiddetto Scenario 2022 partendo dal presupposto che per allora non avrebbe più avuto senso stampare ancora un giornale. Le previsioni ci dicevano che la tiratura si sarebbe ridotta troppo e i costi sarebbero stati troppo elevati. Sapevamo quindi di dover creare e investire in altri prodotti migliorandoli e ottimizzandoli sino al punto in cui senza un quotidiano cartaceo i nostri lettori e le nostre lettrici avrebbero avuto delle valide alternative con le quali nel frattempo sviluppare già una certa familiarità. Questo era quanto ci eravamo prefissati per il 2022. Poi lo sviluppo tecnologico della nostra applicazione ha richiesto più tempo del previsto ed è arrivata la pandemia che ha fatto sì che la tiratura – per noi come per altri giornali – rimanesse stabile.
Dunque la transizione è slittata di qualche anno, ma quali sono stati gli obiettivi che vi eravate proposti di raggiungere per il momento x?
Volevamo che la transizione non avvenisse in un momento di difficoltà, volevamo anticipare i tempi, essere noi a scegliere il momento giusto. Questo significava farci trovare pronti soprattutto finanziariamente e dunque essere sostenibili anche senza l’edizione quotidiana cartacea. Abbiamo formulato degli obiettivi molto concreti da realizzare: lanciare il nuovo sito (cosa che abbiamo appena fatto: www.taz.de), raggiungere un buon risultato con lo sviluppo della nostra app, ricevere una buona valutazione, un riscontro favorevole dai nostri lettori e dalle nostre lettrici, far sì che la nostra nuova edizione settimanale si affermasse sul mercato e tra i lettori.
Dunque l’edizione cartacea del weekend si è trasformata in un’edizione settimanale sul modello di «Die Zeit»?
Esatto, la nostra è un’idea di giornale che esce al weekend ma è disponibile al chiosco tutta la settimana dove vogliamo continuare ad avere una presenza fisica e per questa presenza l’edizione settimanale ci sembra il formato perfetto. Funziona, ci siamo accorti che il numero degli abbonamenti è salito arrivando oggi a 13’500 abbonati. Dunque tutti questi punti che ho elencato dovevano realizzarsi per poterci permettere di fare il grande passo ma c’era anche un’altra condizione imprescindibile che si doveva verificare e cioè che finanziariamente avessimo le risorse necessarie per una transizione che non lasciasse indietro nessuno. Non volevamo che lo stop all’edizione cartacea quotidiana equivalesse a dei licenziamenti o alla riduzione della nostra redazione. Dovevamo essere solidi e lo siamo. In altre parole voleva dire raccogliere più abbonamenti dai nostri nuovi servizi e prodotti come l’abbonamento all’edizione settimanale o all’edizione digitale del giornale o alla combinazione dei due. Dovevamo raggiungere il numero di 30’000 abbonati che infatti abbiamo raggiunto. Inoltre puntavamo ad avere 40’000 sostenitori paganti tramite le donazioni libere e siamo a quota 39’500, quindi per fine 2025 confidiamo di raggiungere l’obiettivo.
Quali sono le fragilità del vecchio sistema – quello della stampa quotidiana del giornale – che vi hanno fatto andare in questa direzione?
Naturalmente sono i costi di stampa, collegati a questi il rincaro del prezzo della carta e i costi di spedizione. Va considerato che per una testata sovraregionale siamo piccoli, abbiamo una tiratura per 16’500 abbonati in tutta la Germania. Per noi significa un grande sforzo e grandi spese visto che tra l’altro inviamo ormai solo tramite la posta perché affidarci a un corriere oggi ci costerebbe di più. Inoltre non siamo autonomi perché non abbiamo un centro stampa. C’è stato un caso lo scorso anno in Baden Württemberg per cui il giornale locale al quale ci appoggiavamo per la stampa ha spostato il suo centro stampa altrove dove costava meno ma per noi seguirli significava mettere in conto tutta una serie di costi aggiuntivi per un aumento complessivo di 40’000 euro per 150 abbonati in quella regione. Essere piccoli ci rende chiaramente più vulnerabili.
Quando qualche anno fa qui sulle pagine di «Azione» avevamo parlato delle vostre strategie ricordo che per raggiungere i lettori più giovani puntavate molto su Instagram. È ancora così?
Il target di lettori giovani a cui aspiriamo continua a trovarsi su Instagram. Dagli abbonamenti che abbiamo sappiamo che i nostri abbonati più giovani scelgono in particolare il formato cartaceo settimanale del nostro giornale o il sito, dunque la nostra webtaz. Con più giovani ci riferiamo ai quarantenni, non ai ventenni. Va anche detto, per fare una giusta comparazione, che gli abbonati all’edizione cartacea quotidiana in media hanno 65 anni, quelli che seguono la versione digitale sono sui 55 anni. Da quest’anno abbiamo rafforzato la nostra presenza anche su TikTok.
Non abbiamo parlato della pubblicità…
Nel nostro caso le inserzioni rappresentano una fetta inferiore al 10% delle entrate complessive che ha a che fare anche con il fatto che un giornale di sinistra è poco attrattivo per gli inserzionisti – purtroppo. Questo però non vuole dire che siamo indipendenti dal mercato pubblicitario che, anzi, ha già portato la «taz» ad attraversare diverse crisi. Paradossalmente – con la transizione da quotidiano a settimanale siamo diventati più interessanti per gli inserzionisti.
Impegno politico, identità forte, attenzione alla vostra comunità di lettori, trasparenza potremmo dire sono gli ingredienti principali del vostro giornale e del vostro lavoro?
Sì, e sono anche parte della nostra storia sin dalla fondazione. Ci piace ricordare che siamo stati i primi in Germania a fare e a promuovere il crowdfunding, lo abbiamo fatto ancora prima di avere il nostro primo abbonato. È dipeso dal fatto che la «taz» non ha mai avuto un unico grosso proprietario in grado di finanziarla. Ancora oggi – dopo 20 anni – possiamo contare su una cooperativa di lettori-editori per i quali proviamo un senso di gratitudine perché senza di loro il giornale non esisterebbe. E ci teniamo a dirlo e a dimostrarlo in tanti modi.
Tornando alla vostra decisione di non più stampare l’edizione cartacea quotidiana della «taz» a partire da ottobre si tratta di un passo al quale in realtà molti pensano ma che nessuno – per ora – sembra avere il coraggio di fare… Perché?
Ogni editore è diverso e per molti – soprattutto per gli editori più grandi o per quelli che fanno parte di un’azienda che può contare anche su un azionariato – le possibilità sono diverse. A differenza del nostro caso, non devono calcolare in modo così preciso, hanno altri margini. L’unico prodotto del nostro editore è la «taz» e proprio per questo – ora che i tempi sono cambiati ed è chiaro che è necessario cambiare il tipo di economia aziendale – sentiamo una certa pressione. In generale mi augurerei che per le testate regionali cartacee ci fossero delle sovvenzioni statali. Grazie alle numerose telefonate che regolarmente conduciamo con i nostri lettori e le nostre lettrici sappiamo che molti ci sostengono e ci seguiranno in questa nostra scelta, in questa nostra transizione. Sappiamo anche però che molte persone non hanno un cellulare e non vogliono averlo e a casa non hanno nemmeno un computer. Trovo che a 70 anni non debba essere obbligatorio adattarsi a una nuova cultura tecnologica; d’altra parte è chiaro che in questo modo una parte di pubblico si perde per strada e si crea un gap informativo, cosa che trovo fatale. Detto questo noi siamo convinti della nostra transizione e vado orgogliosa del fatto che siamo i primi a farla. Ma per il pubblico, per la Germania e per la democrazia di questo Paese mi augurerei che per i giornali ci fossero delle sovvenzioni statali a garantirne l’esistenza nel formato cartaceo.