L’Europa divisa

by Claudia

Ecco cosa succede se gli Usa ne ne vanno

Per l’Europa il ciclone Trump funge da cartina di tornasole. Costringe ciascuno a mostrare i suoi veri colori. Le maschere dell’europeismo classico non valgono più. Purtroppo lo spettacolo che coprivano e che ora si squaderna davanti ai nostri occhi non appare esaltante. Ognuno si scopre chino sui propri affari, indifferente quando non ostile ai presunti familiari. Scossi da un torpore lungo ottant’anni, i popoli del Vecchio Continente sono spaventati dalla prospettiva di non poter più contare sulla copertura di sicurezza offerta dallo zio Sam. Fino a ieri si dava per scontato che in caso di pericolo esistenziale i Paesi dell’Alleanza Atlantica sarebbero corsi ciascuno in soccorso dell’altro, ex articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico (1949). Tutti consideravano (semi)automatico l’intervento americano a difesa del minacciato. O fingevano bene di contare sul Numero Uno. Oggi nessuno ci crede più. L’amministrazione Trump su questo è chiarissima: America First. Tradotto: cari scrocconi veterocontinentali che per troppi anni abbiamo viziato e abituato a credere nella nostra disponibilità a morire per voi, ora cominciate a dotarvi di una vostra difesa, e pagatevela. Noi siamo felici di vendervi le armi che vi servono. Al prezzo giusto.

Da parte europea, le risposte variano salvo convergere tutte sul punto centrale: oggi e per i prossimi anni o decenni non siamo in grado di dotarci di un apparato militare vagamente paragonabile al vostro. Di qui allo scatenarsi di mirabolanti progetti di «difesa europea» il passo è breve. Solo che ciascuno concepisce i propri piani a partire da sé stesso, cercando partner variabili dentro e fuori del circuito euroatlantico, nella logica transattiva di moda. Al di là delle retoriche di Bruxelles, esemplificate da Ursula von der Leyen e dal suo vuoto ma rimbombante slogan ReArm Europe, ognuno si incammina lungo percorsi di emergenza in ordine sparso. Tocchiamo con mano la questione di fondo: se non esiste uno Stato Europa non può esistere una difesa europea. Così come non può darsi una strategia comune. E siccome da Neanderthal in avanti non è mai esistito uno Stato Europa né pare alle viste il suo battesimo, la cacofonia securitaria è al diapason.

Intanto, la formazione Ue si è scissa in diversi formati. Per iniziativa della potenza nucleare Francia, che ha improvvisamente riscoperto la sua «gemella diversa» britannica. In un clima di rinnovata entente cordiale, in sé poco credibile, Londra e Parigi convocano secondo criteri imperscrutabili e mutevoli vertici per la difesa e sicurezza comune che escludono buona parte dei soci Ue mentre sembrano derivare da una selezione riservata agli atlantici, meno naturalmente il Numero Uno. Ecco quindi turchi, canadesi e norvegesi affiancare gli europei ammessi alla corte nucleare franco-britannica, insieme a Italia, Germania, Spagna, Polonia e altri Paesi Ue. I soci di taglia minore sono spesso esclusi. Clamorosa per esempio la scelta di emarginare Lettonia, Lituania ed Estonia, le tre ex repubbliche baltiche fagocitate dall’Urss e considerate oggi nel mirino di Putin. Ma da chi dobbiamo proteggerci? La risposta è secca: la Russia. Con un avventuroso ragionamento che estende linearmente la minaccia del Cremlino dal Donbass alle coste atlantiche del Portogallo, si afferma che i russi non si fermeranno certo all’Ucraina perché il loro imperialismo è insaziabile. Come possa uno Stato che da tre anni fatica a prendersi le quattro regioni del sud-est ucraino che insieme alla Crimea rivendica proprie e annette formalmente ripercorrere e magari superare la campagna d’Europa che portò Alessandro I a Parigi è tesi ardua da dimostrare. Tanto da lasciare aleggiare la sensazione che la posta in gioco non sia la protezione dalla Russia ma un formidabile rilancio delle rispettive industrie di guerra.

Il presidente Macron è il più disinibito in questa campagna. Toccato il punto più basso della sua popolarità interna sta cercando di riabilitarsi come federatore dell’Europa a partire dalla force de frappe. Il suo rispettabile arsenale nucleare (quasi 300 bombe) dovrebbe essere messo al servizio dei soci euroatlantici. Che siano gli altri Paesi comunitari (26) o gli atlantici (30, esclusi britannici e americani che sono già serviti), qualcuno è in grado di immaginare come funzionerebbe uno scudo del genere? Mentre Putin schiaccia il bottone e scaglia le sue testate atomiche montate su missili ipersonici che in pochi minuti possono colpire tutti i bersagli europei, i 26 o 30 sono convocati all’Eliseo per un vertice deputato a stabilire se e come reagire? De Gaulle aveva colto il punto: il nucleare non si condivide. Già due dita sono troppe per un solo bottone. Di una cosa siamo abbastanza sicuri in un mondo che sembra cambiare troppo veloce per capire dove rischiamo di finire: rimpiangeremo l’impero americano. Dopo secoli di carneficine tra potenze europee, per 80 anni i nostri demoni bellicosi sono stati sedati dal controllo strategico a stelle strisce sul Vecchio Continente. Noi non crediamo – o non vogliamo credere – che gli Usa ci vogliano abbandonare alle nostre rivalità. Armarci contro le minacce esterne – russe o meno – può avere un senso. Ma se ognuno lo fa a partire da sé stesso e contro altri soci euroatlantici, le probabilità che si torni al canone pre-Nato, solo con le armi nucleari, non sono poi bassissime.