Le amicizie corrono attraverso le app

by Claudia

Sono i giovani adulti tra i 25 e i 35 anni i principali fruitori delle piattaforme create per conoscere nuovi amici

Tutti oggigiorno conoscono – almeno per sentito dire – le app di dating, Tinder in primis. Meno note sono, invece, delle piattaforme che si posizionano accanto a queste, pensate anch’esse per far conoscere persone tra di loro, ma a scopo di amicizia. Tra queste ci sono app che si concentrano sul mettere in contatto persone con interessi comuni o più in generale sulla socializzazione, altre che permettono di trovare qualcuno nelle proprie vicinanze con cui più facilmente le conversazioni virtuali possono trasformarsi in una conoscenza reale. Ci limitiamo a citarne alcune popolari tra i giovani che ci sono parse interessanti: Bumble BFF, sezione dell’app di incontri Bumble, all’interno della quale solo le donne possono prendere contatto con gli uomini, Meetup o GetYourGuide, che permettono di partecipare a eventi e attività condivise in diverse parti del mondo, Geneva, la quale consente di connettersi con amici e gruppi online al sicuro da bullismo e odio purtroppo presenti su altri social, e la divertente Monkey, creata da due adolescenti, nella quale persone sconosciute vengono abbinate casualmente in una videochiamata in tempo reale.

Facevamo riferimento ai giovani perché sono loro, di fatto, ad essere i principali fruitori di queste app, come dimostrano, ad esempio, le statistiche di Spontacts (applicazione in origine sviluppata da studenti del Politecnico di Zurigo), la quale l’anno scorso ha registrato una forte crescita soprattutto tra i 25-35enni. Oggi Spontacts, che ha superato il milione di membri, fa parte di «Gemeinsam Erleben» ed è attiva in Svizzera, Germania e Austria. «L’idea di Spontacts è di facilitare la ricerca di persone con interessi comuni con le quali organizzarsi per un incontro e per condividere attività spontanee o programmate. Tra gli interessi e le attività più popolari troviamo lo sport, la cucina, il gioco da tavola, le lingue e la musica. L’aspetto interessante di questa app è che propone un’alternativa economica ad attività o corsi a pagamento tipicamente offerti da centri sportivi o scuole serali», afferma Anne-Linda Camerini, ricercatrice e docente presso l’Institute of Public Health dell’Università della Svizzera italiana di Lugano.

Il ricorso a questo genere di app soprattutto da parte dei giovani sembra spiegarsi con il fatto che esse rispondono a una certa difficoltà nello stringere amicizie. «Sebbene si tratti di studi incentrati più in generale sulle app di incontri, sono diversi quelli che confermano un maggior utilizzo da parte di giovani adulti con età compresa tra i 25 e i 35 anni, una fase della vita oggi più che mai carica di incertezze», afferma Matilde Melotto, laureata in psicologia e comunicazione della salute, che sta svolgendo un dottorato nel gruppo di ricerca di Anne-Linda Camerini sullo sviluppo socio-emotivo dei giovani. «Considerando che molti proseguono gli studi fino a un livello universitario, il sistema scolastico rappresenta uno spazio protetto e un facilitatore dell’aggregazione sociale proprio fino ai 25 anni circa, che viene a cadere con l’entrata nel mondo del lavoro. Le posizioni lavorative si fanno sempre più instabili e digitalizzate, costringendo i giovani a cambiare spesso nel corso degli anni e a lavorare sempre più in autonomia e, nell’ambito dei contatti, a doversi attivare per ricercare altrove connessioni reali significative». Un altrove che può coincidere con le piattaforme di cui stiamo parlando, la cui diffusione è piuttosto recente: «È in particolare dagli anni della pandemia che queste applicazioni riscontrano un interesse crescente, collegato a una altrettanto crescente necessità di trovare connessioni sociali e spazi d’aggregazione che possano andare oltre il digitale – continua la psicologa – infatti, per i giovani adulti in questione le app rappresentano un mezzo per raggiungere l’obiettivo, che è la socializzazione».

Un’epidemia di solitudine

Il Covid, assieme ad altri cambiamenti sociali e culturali, ha negli ultimi anni amplificato l’isolamento sociale, rendendo la solitudine tra i ragazzi un fenomeno sempre più al centro dell’attenzione, oltre che, purtroppo, in crescita. E i dati a riguardo non mancano. «Per la fascia d’età di cui ci stiamo occupando, secondo il BiB (Das Bundesinstitut für Bevölkerungsforschung), in Germania nel 2022 il 44% dei giovani tra i 19 e i 29 anni si sentiva solo, rispetto al 33% degli adulti tra i 30 e 53 anni», afferma Anne-Linda Camerini. Una tendenza riscontrata anche in Svizzera, dove nello specifico uno studio dell’Istituto Gottlieb Duttweiler indica che è un adolescente su tre a sentirsi solo. «La solitudine va considerata un fattore di rischio per la salute in quanto legata a problemi mentali, di sonno e a un maggior rischio di dipendenza da sostanze e da comportamenti, come nel caso dell’abuso digitale. Di conseguenza, che un terzo della popolazione giovane si senta solo è da considerarsi un problema di salute pubblica».

È bene soffermarsi sul concetto di solitudine: «Va fatta la distinzione tra “solitudine sociale”, ovvero quando ci si sente soli perché le relazioni effettivamente mancano, e “solitudine emotiva”, quando ci si sente soli nonostante le relazioni, che non vengono percepite come strette (in inglese strong ties) ed autentiche – spiega la ricercatrice – ad oggi, penso che gli studi si riferiscano più che altro a questo secondo tipo, espresso in modo significativo dall’espressione inglese together alone (“insieme soli”), il quale non da ultimo è il risultato delle relazioni deboli (weak ties) che spesso intratteniamo nel mondo virtuale in cui abbiamo tanti “amici” e followers che non abbiamo mai visto e in genere non conosciamo davvero».

La digitalizzazione e un’eccessiva focalizzazione sulla professione possono dunque portare a trascurare il proprio ambiente sociale. «Le relazioni sono dinamiche interpersonali complesse che richiedono uno sforzo attivo del soggetto, a differenza di quanto avviene nel mondo virtuale, il quale offre un piacere immediato, alimentato dalla stimolazione dei circuiti neurali dopaminergici, esente dal confronto con le difficoltà e le sfide tipiche del mondo reale. Questo ha però un prezzo, perché meno ci relazioniamo e meno siamo in grado di farlo, più cerchiamo di evitare il confronto e più ci isoliamo», commenta Matilde Melotto.

Accorciare le distanze

La vita virtuale fornisce insomma gli strumenti ideali ai giovani per rifugiarsi in un mondo ampiamente pervasivo ed accessibile con poco sforzo, ma purtroppo anche per isolarsi. «Importante è avere la consapevolezza della necessità di saper usare in modo positivo il digitale, imparando a destreggiarsi nel delicato equilibrio tra reale e virtuale e limitandone, per quanto possibile, le criticità», commenta la psicologa. Utilizzato in questa maniera, il virtuale può infatti rappresentare una risorsa nell’ambito dei rapporti sociali: «Basti pensare alla possibilità di accorciare le distanze geografiche o alla facilità con cui trovare individui affini attraverso la condivisione di interessi comuni», aggiunge. Possibilità, queste ultime, che diventano il cuore e lo scopo delle applicazioni concepite proprio per coltivare nuove amicizie. «Le app di incontri, comprese quelle per fare amicizia, sono a mio avviso l’evoluzione dei social media nella misura in cui consentono di compiere quel passo che inizialmente essi si erano posti come obiettivo, ossia riunire le persone, rappresentando un punto di congiunzione tra le interazioni digitali e gli incontri faccia a faccia», spiega Matilde Melotto. Un obiettivo, quello originario dei social, purtroppo almeno in parte vanificato da un uso sempre più passivo, che da strumenti di aggregazione, li ha visti passare ad «anestetici relazionali», come ci spiega la dottoranda.

Tra i benefici che i giovani possono trarre dalla frequentazione delle app di amicizia c’è quindi molto concretamente la possibilità di incontrare persone oltre il limitato contesto sociale di appartenenza, che apre la strada a una più ampia rete di amicizie potenziali e a una maggior probabilità di trovare persone con caratteristiche affini ed interessi condivisi, con ripercussioni positive sul benessere. Purtroppo però accanto a questi benefici vi è pure qualche criticità. «Rispetto al mondo reale, nel quale le occasioni di incontro possono essere casuali e sfaccettate, nelle app il processo risulta semplificato e filtrato. In genere infatti la scelta delle persone con cui interagire avviene a priori sulla base di presentazioni autoriportate e di un numero limitato di interessi che si sceglie di condividere – racconta la psicologa – oltre a ciò, diversi studi hanno dimostrato come in queste app gli utenti possano sviluppare una percezione alterata della propria desiderabilità basata sui feedback ricevuti, ciò può portare a un aumento dell’autostima per chi ha successo e a un senso di inadeguatezza per chi riceve poche interazioni». Infine, le app per fare amicizia non sono esenti da nuove tendenze relazionali presenti nell’ambito delle piattaforme digitali, come il ghosting (l’interruzione improvvisa e priva di spiegazioni di ogni tipo di comunicazione) e l’orbiting (quando una persona smette di interagire direttamente ma continua a seguire l’altra sui social). «Dinamiche rischiose in quanto producono un senso di abbandono peggiore del rifiuto e lasciano una condizione di vuoto complessa da interpretare e gestire», conclude Matilde Melotto.