Candidato svizzero all’Oscar, Heldin di Petra Volpe mette in scena con ritmo da thriller la fatica di chi lavora in corsia
Accolto con grande favore al Festival di Berlino di quest’anno, Heldin – L’ultimo turno di Petra Volpe arriva in Ticino con un’ampia programmazione, a partire da giovedì 11 settembre: sarà al Cinema Lux di Lugano, Cinema Forum di Bellinzona, Multisala di Mendrisio, PalaCinema di Locarno, Cinema Rialto di Locarno e Cinema Otello di Ascona (solo dal giovedì successivo). L’uscita è stata preceduta, la scorsa settimana, da un’anteprima al Cinema Teatro Blenio di Acquarossa in occasione della Giornata nazionale delle cure domiciliari. Ha già registrato un successo nazionale e internazionale, con più di 650mila spettatori raggiunti nei Paesi di lingua tedesca e vendite in oltre 50 territori, compresa l’Italia, dove è uscito a fine agosto. Soprattutto, il lungometraggio è già stato scelto come candidato elvetico al prossimo Oscar per la categoria miglior film internazionale, in anticipo su quasi tutte le altre nazioni che concorreranno.
Un bel viatico per una pellicola che cattura fin dalle scene iniziali e la cui vicenda ruota tutta intorno all’infermiera caposala Floria Lind e al suo turno di lavoro in un reparto – afflitto dalla carenza di personale – che ospita prevalentemente malati oncologici. La professionista lavora come una matta, corre in continuazione, cerca di seguire tutti, deve gestire le pressioni dei parenti, rispondere alle richieste più disparate e supplire ai bisogni di qualsiasi tipo, tanto che è definita un «angelo» per la sua dedizione. Dai giri regolari per le stanze ai controlli di routine alla somministrazione di farmaci, dall’accoglienza agli esami all’accompagnamento in sala operatoria alla supervisione di una tirocinante non molto a suo agio, tante piccole e grandi mansioni gravano sulle spalle di Floria. Con serietà e disponibilità, senza farsi prendere dall’isteria, la donna si impegna al massimo per arrivare ovunque e garantire un’assistenza adeguata ai pazienti. L’errore può essere però dietro l’angolo anche per un’infermiera preparata, attenta e coscienziosa, così la situazione si complica ancora di più e il turno si trasforma in una corsa contro il tempo.
Heldin – il cui titolo internazionale è Late Shift – è un film drammatico con la tensione di un thriller, che fa partecipare lo spettatore allo sforzo della protagonista impegnata ad andare incontro a tutte le richieste. Volpe evita i toni troppo cupi e sa alleggerire le situazioni, così, tra un’emergenza e l’altra, regala anche qualche risata, come nella scena clou dell’orologio del paziente ricco ospitato in una stanza privata. C’è pure il momento in cui la protagonista sosta a cantare insieme a una paziente anziana, dettaglio che contribuisce a descrivere la profonda umanità di Floria, che si prodiga e cerca di dare anche un minimo sostegno psicologico ai ricoverati.
Ha piccole attenzioni per tutti, anche per la stagista Amélie, e non smette neppure quando toglie la divisa a fine turno. Ne riassume l’emotività e la delicatezza la canzone Hope there’s someone di Antony and the Johnsons che la accompagna verso il finale.
Dal punto di vista della regia la situazione è resa in modo del tutto efficace grazie alla scelta di stare sempre su Floria, presente in quasi tutte le inquadrature: il film è costruito integralmente su di lei (molto ben interpretata dall’attrice tedesca Leonie Benesch, adeguata a un personaggio che si dona senza annullarsi e non distoglie l’attenzione dagli altri), sempre in movimento, ripresa da vicino con tanti piani sequenza.
Petra Volpe è partita da una sensibilità personale ai temi della cura e dall’esperienza di convivenza con un’infermiera, testimoniando direttamente i suoi sforzi in situazioni lavorative sempre più proibitive. Nell’ospedale cantonale nel quale è ambientata la storia, il personale è insufficiente per le necessità e gli infermieri in servizio, soprattutto la sera e la notte, devono farsi carico di troppe incombenze che si accumulano, gestendo il dolore altrui e pure il proprio stress e il rischio di implodere. Lo spiegano bene le didascalie conclusive sulla mancanza di operatori sanitari in Svizzera e il fatto che spesso si dimettano, esausti, dopo pochi anni di attività. Il film affronta in modo inconsueto e diretto un mestiere della cui importanza ci si è resi conto con la pandemia da Covid-19, mostrando le difficoltà e le fatiche e pure la ricchezza che proviene dallo stare accanto a chi soffre o ha bisogno di aiuto e di conforto.
La regista si era già distinta con l’esordio Traumland (2014), per poi imporsi all’attenzione con Contro l’ordine divino (2017), anche quello candidato all’Oscar, sul primo voto alle donne in Svizzera. Volpe, che vive e lavora negli Stati Uniti, si è fatta conoscere anche per le sceneggiature di Heidi e Die goldenen Jahre. In questo bel lavoro conferma un certo eclettismo e la capacità di giocare su diversi registri, oltre a tenere saldamente in mano le storie, con una adesione alle vicende narrate e una partecipazione asciutta e composta non frequente.