È finita l’era delle spiagge-azienda

by Claudia
25 Agosto 2025

Le spiagge italiane hanno infiammato le polemiche d’agosto. Dato che sono un po’ anche le nostre, per mancanza di accesso al mare, provo a riassumere quel che ho capito. Per cominciare pare confermata una diminuzione dei clienti italiani negli stabilimenti balneari intorno al 15%.

Normalmente si ritiene che il calo sia legato a un generale impoverimento della popolazione. Il 31,4% degli italiani (secondo i dati Eurostat), più di 18 milioni di persone, non riescono a sostenere economicamente una vacanza di sette giorni, mentre in Europa ci si ferma a un pur considerevole 27%. Una quota crescente del ceto medio, alle prese con gli effetti dell’inflazione e con l’aumento costante dei costi, viene risucchiato nella povertà. È una tendenza generale: negli Stati Uniti per esempio la crescente differenza tra viaggi di lusso e viaggi economici sta escludendo la fascia media della popolazione. Al tempo stesso stanno cambiando le abitudini di vacanza.

Anche l’anno scorso agosto aveva segnato un calo di presenze, compensato poi dagli altri mesi. Complice il clima, la stagione balneare si estende ormai per metà dell’anno. Inoltre le lunghe vacanze al mare nei mesi più caldi sono ormai un ricordo del passato. Durante la settimana, molte spiagge sono deserte e si riempiono solo nel week end: dunque soggiorni più brevi e frequenti.

Al di là di queste tendenze, l’intero sistema degli stabilimenti balneari appare superato. Certo hanno avuto un loro tempo e una loro funzione. Nel secondo dopoguerra le coste italiane erano in larga parte in stato di abbandono e a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso le spiagge furono affidate ai privati a canoni molto moderati, perché potessero investire in servizi (cabine, ombrelloni, ristoranti) e migliorie.

Il sistema funzionò dapprima molto bene, favorendo la diffusione delle vacanze in tutti gli strati sociali. I lavoratori trovavano ad accoglierli spiagge ragionevolmente attrezzate a costi moderati. Col tempo però il carattere popolare della vacanza marina si è perduto e anche per questo i costi sono saliti moltissimo, specie in alta stagione. Oggi gli stabilimenti balneari sono vere e proprie aziende, volte principalmente al profitto. Inoltre il rinnovo automatico delle concessioni con canoni bassi rispetto ai valori di mercato e alle possibilità di guadagno ha trasformato le rive in feudi intoccabili, limitando la disponibilità di spiagge libere. Dal 2006 la Direttiva Bolkestein dell’Unione europea ha chiesto gare pubbliche e durata limitata, ma la vicinanza dei balneari al Governo in carica ha ritardato le necessarie riforme.

Non è solo una questione di equità. Nel Novecento la spiaggia è diventata un luogo d’incontro tra l’uomo e il mare, tra la civiltà e il selvatico. Uno spazio naturale all’apparenza (il sole, il vento, la sabbia, l’acqua) gestito però attraverso convenzioni sociali: lo spazio privato delimitato dal proprio asciugamano, l’esposizione dei corpi al sole nonché allo sguardo altrui e così via. Negli ultimi anni tuttavia la moltiplicazione dei servizi ha aumentato le comodità, rendendo le spiagge sempre più «borghesi» e facendo esplodere i costi. Tutto ciò proprio mentre la crisi del ceto medio ha diradato i potenziali clienti.

Tale modello di spiaggia sembra superato e da più parti si invoca un cambiamento. Per cominciare l’accesso al mare è un diritto. Dunque almeno la metà dei litorali dovrebbe essere libera, o con pochi servizi essenziali assegnati di anno in anno. Le comunità locali inoltre dovrebbero essere maggiormente coinvolte, con la possibilità di dare la propria impronta agli stabilimenti e di puntare su una clientela diversa. Per esempio alcune spiagge potrebbero essere a tema. La locale squadra di pallavolo potrebbe essere coinvolta nella gestione di una spiaggia molto orientata allo sport, a cominciare dal beach volley. Altre potrebbero essere dedicate alla meditazione e allo yoga, altre a esperienze culturali o naturalistiche, o ancora spiagge per chi ha animali e così via.

Naturalmente alcune esperienze vanno già in questa direzione, ma in futuro potrebbero diventare la regola e non l’eccezione, così da restituire alla spiaggia la sua natura di luogo d’incontro, di sperimentazione, di socialità. Una spiaggia viva invece di una spiaggia-azienda. Poveri ma belli.