La nostra Pantelleria

by Claudia
11 Agosto 2025

Due ticinesi hanno scelto di vivere sull’isola siciliana e ce la raccontano: «È potente. Ti regala tante energie ma tante te ne toglie»

Qui ci atterri solo se lo permette la «muffura», una nuvoletta carica di umidità che a tratti oscura il cielo sopra l’aeroporto. Ci atterri se non sai, o non ti spaventa il mare-mare, quello che s’infrange sugli scogli scosso dal vento e che se non stai attento ti fa male. Quello che non conosce miti distese di sabbia che scendono piano nell’acqua tiepida. No. Si tratta di un mare aperto attaccato alla roccia nera.

Siamo a Pantelleria, un’isola di 80 chilometri quadrati più vicina alla Tunisia della Sicilia, regione di cui fa parte, un complesso vulcanico ancora attivo (l’ultima eruzione sottomarina che ha seminato il panico tra la popolazione si è verificata nel 1891, si legge su https://www.parconazionalepantelleria.it). Un insieme potente e ruvido, con i suoi 7600 e rotti abitanti. La chiamano «isola del vento», perché ne è quasi sempre in balia. O «perla nera», appunto dal colore dei suoi sassi caldi. L’abbiamo percorsa a cavallo di uno scooter scalcagnato, imbattendoci in due ticinesi che vi si sono trasferite. Oltre 20 anni fa arriva Paola, per amore. Due anni fa Mirna, attratta dal senso di libertà che infonde il luogo.

Dopo un’esistenza in Ticino da lavoratrice, moglie e madre, Mirna decide infatti di ricominciare daccapo, da sola e lontano. «Conoscevo già l’isola», dice. «Il primo impatto – una quindicina di anni fa – è stato tutt’altro che dolce». Approdo via nave il pomeriggio, caldo torrido, cittadina scalcagnata come lo scooter. A livello architettonico non c’è niente di particolare da guardare. Il centro è stato bombardato durante la Seconda guerra mondiale e parecchi edifici sono andati distrutti, interamente o in parte. Sparsi sul territorio piccoli quartieri formati soprattutto da modesti dammusi, dimore tradizionali con muri a secco, coperti da un tetto a cupola che serve anche a raccogliere l’acqua piovana (il prezioso elemento scarseggia, ci si approvvigiona principalmente tramite impianti di dissalazione e, appunto, il recupero dell’acqua piovana). C’è da dire che ci sono diversi dammusi tutt’altro che modesti. Ad esempio Armani possiede nella parte nord-orientale dell’isola, a Cala Gadir, una villa composta da diverse dimore tradizionali. La circondano centinaia di palme e una vigna che produce passito. E molti altri personaggi noti scelgono l’isola come rifugio: non è presa d’assalto dal grande turismo ed è conosciuta per la sua totale discrezione (che vale solo per i vip, a quanto pare, gli isolani – ci raccontano – amano prendersi cura di tutti, facendosi anche gli affari loro).

Ma torniamo a Mirna, 50.enne, di origini malcantonesi. Impatto dolceamaro, dicevamo. Ma lei si prende il tempo necessario e scopre meraviglie. Soprattutto la natura selvaggia di Pantelleria, il mare fresco, la Montagna Grande (836 m) con i suoi itinerari, la caldera trasformata in lago salato (Lago di Venere), le grotte con fonti di acqua termale (in quella di Sataría Omero avrebbe situato la dimora di Calipso). Ma anche il bar di Fabrizia, che è anche emporio di prodotti tipici come i capperi, il negozio che vende le scarpette gommose per tentare la discesa a mare, la gelateria di Domenica (una signora napoletana) a Scauri e diversi ristoranti tipici, appetitosi e romantici, specie all’ora del tramonto.

«Venivo qui ogni anno, prima con la famiglia, poi con le amiche o da sola. Ogni volta era una rivelazione. A Pantelleria ho scoperto che si poteva vivere in modo diverso: smettere di correre, di affannarsi per arrivare a fine mese. Il ritmo infatti è lento, la natura a portata di mano, la vita più semplice ed essenziale. Si tratta di un piccolo mondo circondato dal mare che ha logiche diverse dalle nostre e – se sai entrare nel suo spirito – ti lascia spazio per pensare e per fare». Le idee sono tendenzialmente ben accolte, afferma la nostra interlocutrice. Lei ha portato sull’isola La Lanterna Magica, progetto che invita i bambini a scoprire il cinema. «Mi hanno concesso spazi gratis e giovani aiutanti volontari. E propongo degli incontri per stimolare la lettura tra i più piccoli. La biblioteca comunale non presta libri d’estate, allora ce li metto io». Molti genitori – che lavorano – sono grati dell’opportunità e del tempo che dedica ai loro figli. Mirna continua: «Conosco ormai tutti gli abitanti dell’isola, mi sono fatta un giro di amicizie. Qui si riesce a vivere con poco, anche se non è tutto facile. Le persone care vivono lontane, ho dei momenti di solitudine. Ma per adesso non ho nessuna voglia di tornare, Pantelleria per un po’ sarà la mia casa».

«Non mi sento più di appartenere a questo luogo, qui sopravvivo», afferma invece Paola. Nata a Mendrisio, frequenta le scuole commerciali a Chiasso, si trasferisce a Losanna, dove studia e lavora. Torna in Ticino e – durante una vacanza con i suoi genitori a Pantelleria – conosce quello che sarebbe diventato il padre dei suoi figli. «La passione e i sentimenti hanno sempre guidato le mie scelte, a volte portandomi a fare degli errori», osserva. «Ma così è… Il nostro è stato un rapporto a distanza per qualche anno e poi ho seguito l’istinto. Sono partita, ho lasciato tutto: indipendenza economica, famiglia, amici. A volte piango ancora per questo “salto nel buio” e sono passati oltre 20 anni… Perché l’isola è strepitosa, potente, ti regala tante energie ma tante te ne toglie. Qui la vita è organizzata molto sulla famiglia, sulla famiglia allargata che sostiene e ingloba, un microcosmo con le sue leggi a volte difficili da comprendere. Gli abitanti sono siciliani ma non si sentono siciliani, sottolineano il fatto di essere panteschi. È gente pacifica e perlopiù tradizionalista, soprattutto nel concepire il rapporto uomo-donna». Le è pesato parecchio. «Anche dopo tutto questo tempo mi si rimprovera: come fai tu a dirlo? Sei quella che viene da fuori».

I figli di Paola sono ormai cresciuti: Edoardo studia Ingegneria al Politecnico di Torino ed Erasmo inizia il quinto anno di Liceo scientifico. «Si sentono panteschi ma sono legati anche alle mie origini, sono italiani ma anche svizzeri insomma, lo saranno sempre». Gli anni trascorsi sull’isola non sono stati una passeggiata, osserva. «Ho fatto tutto da sola: mi occupavo della casa, della famiglia. Non ho potuto contare su grandi aiuti». E le difficoltà del vivere laggiù non mancano: l’isola dipende dal meteo, col mare mosso non arriva niente, le navi non possono attraccare. Così gli scaffali dei negozi si svuotano e anche i maestri – molti dei quali abitano in Sicilia – si fanno aspettare… I trasporti in generale non funzionano in caso di brutto tempo, racconta l’intervistata, e l’ospedale non dispone di un reparto di rianimazione. «In urgenza, dunque, bisogna volare con l’elicottero su Trapani o Palermo. È necessario spostarsi anche se servono cure particolari».

Due anni fa, ci racconta la donna, la sua relazione si è conclusa e lei ha dovuto e voluto reinventarsi: insegnando francese e lavorando in un albergo. Stringendosi agli amici, «soprattutto famiglie che vengono da fuori». «Vado sempre avanti, indietro non si può tornare», conclude. «E so che il futuro ha sempre qualcosa di speciale in serbo per tutti. Ma oggi più che mai me ne rendo conto: qui sono sempre stata la straniera, quella che viene da fuori». E forse fuori tornerà.