Sempre più morti «per disperazione»

by Claudia
4 Agosto 2025

Nel Regno Unito umentano i disturbi mentali tra la popolazione e 2,8 milioni di persone non lavorano per problemi di saluteIl Governo di Keir Starmer cerca di correre ai ripari nonostante le poche risorse a disposizione

Rimettere un Paese al lavoro per risanare non solo i conti pubblici, ma il senso di sé di una popolazione che rischia di ritirarsi dal mondo, nascosta dietro certificati medici su cui ricorre uno stesso, allarmante termine: salute mentale. Nel Regno Unito sono 1,3 milioni le persone tra i 16 e i 64 anni che chiedono dei sussidi statali per motivi psicologici (il 44% del totale delle richieste di sussidio), ma anche tra chi ha altre malattie i problemi mentali sono spesso presenti. E sono tutt’altro che immaginari, come dimostra l’aumento delle cosiddette «morti per disperazione» in età lavorativa, ossia suicidi, decessi legati all’alcolismo o alle droghe. Un fenomeno in aumento rispetto a prima della pandemia, al quale il Governo di Keir Starmer sta cercando di dare una risposta con tutta la serietà del caso, pur nelle ristrettezze economiche in cui si trova ad operare: il debito è enorme – 2,87 trilioni di sterline – e servono 110 miliardi solo per pagare gli interessi. Non ci sono tante strade percorribili. Si alzano le tasse; si praticano nuovi tagli al welfare, considerando quanto impopolari siano stati quelli passati; oppure si cerca di immettere un po’ di energia e di speranza nel mercato del lavoro, soprattutto nel nord del Paese. Con l’aiuto di coach, fisioterapisti, giardinieri e maestri di ginnastica. «Siamo un Paese di persone riservate, il nord è economicamente depresso, facciamo affidamento sul welfare, forse è per questo che da noi queste cose succedono più che altrove», spiega G.B., medico alle prese con il forte aumento di un fenomeno che a questi livelli, dopo la pandemia, si vede in poche altre Nazioni e suscita una preoccupazione a tutto tondo. Rispetto al 2019 il ricorso ai presidi di salute mentale del Servizio sanitario è aumentato del 36%, mentre le persone che assumono antidepressivi sono il 12% in più, secondo uno studio dell’Institute for Fiscal Studies. Nel 2023-24 i sussidi per persone in età lavorativa sono costati 48 miliardi al Governo e, se la tendenza prosegue, si arriverà a 67 miliardi nel 2029-30, con un costante peggioramento. E quindi il primo passo è cercare di evitare che la gente lasci il lavoro per motivi legati alla salute mentale e a un’idea di benessere personale che forse nel Regno Unito ha subito un’evoluzione più forte che altrove, con una medicalizzazione rampante di tutto.

Liz Kendall, ministra del lavoro e delle pensioni, ha incaricato il manager Charlie Mayfield di mettere a punto una sorta di libro bianco con delle proposte, da pubblicare in autunno. Lui ha iniziato facendo presente che «la sindrome di odio del capo» non è una ragione sufficiente per lasciare il posto, anzi: con i capi bisogna parlare, dialogare anche quando si è in permesso per malattia, proprio per evitare che questa diventi la prima tappa per un allontanamento irreversibile dal mondo del lavoro. La flessibilità, l’andare incontro alle esigenze dei dipendenti è fondamentale, soprattutto per i lavoratori più in là con l’età, quelli che hanno più responsabilità in famiglia e che magari hanno bisogno di assentarsi per una visita medica o un controllo. Al momento ci sono 2,8 milioni di persone inattive a causa di problemi di salute. Prima della pandemia erano 2,1 milioni. Secondo gli esperti comunque la situazione stava peggiorando già prima del Coronavirus. Come correre ai ripari? La prima cosa da fare, come ben sa il ministro della Salute Wes Streeting, è un migliore coinvolgimento dei medici. Nel 2024 sono stati emessi 11 milioni di certificati di malattia, con il 93% che dice semplicemente che la persona non può lavorare. E se invece fosse l’approccio a essere sbagliato? A metà luglio è stato lanciato un progetto pilota per permettere ai medici di famiglia di mandare le persone in palestra o a fare giardinaggio, se hanno problemi di ansia o di mal di schiena invalidante, oppure metterli in contatto con dei counselor che offrono supporto emotivo – ne sono stati assunti altri 6700 – o con delle organizzazioni in grado di offrire sostegno e consigli su questioni finanziarie, immobiliari, lavorative.

«Ci sono 2,8 milioni di persone senza lavoro per ragioni di salute, e questo è un male per i pazienti, male per il servizio sanitario e male per l’economia. La società della malattia che abbiamo ereditato costa ai contribuenti delle somme astronomiche, non possiamo permetterci di continuare a escludere persone», ha spiegato Streeting, secondo cui questa non è «sanità, è un vicolo cieco burocratico». Occorre un passaggio da un sistema che «gestisce la malattia a uno che promuove la salute, il lavoro e la prosperità». I soldi per ora sono pochi, 100mila sterline per ognuna delle 15 regioni coinvolte, ma il programma più ampio, WorkWell, ha 64 milioni di sterline, con l’obiettivo di aiutare almeno 56 mila persone disabili o con problemi di salute a rientrare nel mercato del lavoro entro la primavera del 2026. I tagli al welfare non servono a niente, soprattutto se si allarga il problema: l’unica via percorribile è cercare di contenerlo, e di rimettere in moto l’economia insieme alle persone, perché star male non può essere un progetto di vita.