Il rispetto, una cosa per intimi

by Claudia

La Treccani ha scelto la parola dell’anno: «rispetto» (6). Più un auspicio per gli anni a venire che una fotografia dell’anno passato. Nulla ci fa pensare che il rispetto, negli ultimi tempi, abbia avuto una funzione centrale nella vita sociale o nei rapporti tra individui o tra nazioni. A giudicare da come va il mondo, il rispetto non sembra tra le prime preoccupazioni dell’umanità. Ben venga dunque quella parola come augurio: perché il rispetto implica una reciprocità quasi alla pari. Se l’allievo deve rispettare il maestro, il maestro deve rispettare i suoi allievi; se il sottoposto deve rispettare il padrone, il padrone deve rispettare i suoi dipendenti; se il cittadino deve rispettare i governanti, i governanti devono rispettare i cittadini; se il collega deve rispettare il collega, vale anche il contrario; se un figlio deve rispettare il genitore, il genitore deve rispettare i figli, e così via.

Chiudendo una lettera del luglio 1953, il ventenne Giovanni Raboni, poeta ancora in erba, scriveva al poeta laureatissimo Carlo Betocchi, allora cinquantaquattrenne direttore di importanti riviste: «La prego di ricordarmi, insieme alla mamma, alla Sua gentile Signora, e di credere al rispettoso affetto del Suo Giovanni Raboni». Il «rispettoso affetto» era reciproco? Certo, se così rispondeva Betocchi al giovane Raboni: «Caro Raboni, grazie del suo caro e affettuoso ricordo. E lavori. E mi ricordi, con mia moglie e Silvia alla sua buona mamma. Seguiti, caro Raboni, a darmi notizie del suo lavoro che Le auguro eccellente». La sola disparità visibile era nelle maiuscole di cortesia, regolari in Raboni nei confronti di Betocchi, non in Betocchi nei confronti di Raboni. Il rispetto di Raboni era nell’ascolto del maestro, di cui aveva un’ammirazione suprema e che, con altri illustri giurati, lo aveva premiato a un prestigioso concorso per poesie inedite. Il rispetto di Betocchi era nel seguire, per anni, il lavoro del poeta milanese e nel dargli consigli anche severi. Il carteggio Betocchi-Raboni (voto: 6×2), a cura di Benedetta Ziglioli, è uscito di recente per Interlinea con il titolo Le cose buone e vere.

Un anno prima, nel marzo 1952, il giovane Andrea Camilleri scriveva a sua madre da Roma: «Mamma carissima, ti prego anzitutto di scusarmi e di perdonarmi se ho lasciato trascorrere una settimana senza scriverti». Andrea ha 26 anni, e chiede scusa e perdono a sua madre per il ritardo con cui si fa vivo. Sono lettere (appena uscite per Sellerio, Vi scriverò ancora, a cura di Salvatore Silvano Nigro) che raccontano momento per momento la vita del futuro scrittore di Montalbano, studente fuorisede e borsista dell’Accademia Nazionale d’Arte drammatica. Cose piccole e grandi: il lavaggio della biancheria, gli umori quotidiani, i lievi malanni, il freddo, l’invio di poesie alle riviste, la preoccupazione di trovare una stanza a poco prezzo, la ricerca di una trattoria alla portata delle sue misere tasche, il primo approccio a Cinecittà, il deludente esordio come assistente alla regia, gli incontri con Gassman, Genet, Sartre. Sono 500 pagine di vita vissuta e di fatica per trovare un lavoro (6-). E il rispetto per i genitori è devozione, deferenza quasi, ansia continua: «sono veramente preoccupato dal vostro silenzio», «da molto tempo non ho vostre notizie, e la cosa mi preoccupa davvero», «vi prego di perdonarmi se non ho avuto il tempo di scrivervi prima». Basta la parvenza di un malinteso, per scrivere alla madre: «I casi sono due, o hai capito male tu o mi sono espresso male io. Se la seconda ipotesi è vera, ti prego di volermi scusare: non avevo la più lontana intenzione di mostrarmi scortese. L’incidente è chiuso». Usavano parole, frasi, una sintassi per esprimere timori, scuse, sentimenti di riconoscenza. Oggi basta un emoticon per dire cose che Camilleri diceva in una lettera di cinque pagine.

Purtroppo non esiste l’emoticon giusto che mi permetterebbe di esprimere al meglio il mio parere su Cristiano Ronaldo, il numero 7 più celebrato della storia del calcio, che ha comperato un jet da 70 milioni di euro per poter volare ovunque evitando il disagio degli scali. Non c’è l’emoticon adatto al campione più pagato del mondo che esibisce il suo yacht milionario e il Rolex carico di zaffiri, il bullo straricco che tiene in garage venti auto di lusso (Bugatti, Rolls-Royce, Ferrari eccetera) per un valore totale di 30 milioni di euro. Disprezzo per il mondo? Per le tante vite che faticano a sbarcare il lunario? E il rispetto? Solo per pochi intimi e per sé stesso (voto – 7). Buon Natale.

ABBONAMENTI
INSERZIONI PUBBLICITARIE
REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO
MIGROS
SCUOLA CLUB
PERCENTO CULTURALE
MIGROS TICINO
ACTIV FITNESS TICINO