È morta a cento anni l’eroina della Resistenza francese, poetessa e corrispondente di guerra
Un mese fa è morta Madeleine Riffaud, a 100 anni, nella sua casa a Parigi. La notizia l’ha diffusa il suo editore, Dupuis. Figlia di maestri, avrebbe voluto fare la maestra. Un calcio nel sedere datole da un ufficiale tedesco nel novembre del 1940 la mandò a faccia giù in una fossa e cambiò il corso della sua vita. Fu così che diventò «la ragazza che salvò Parigi». Era un’adolescente. In quel momento decise di unirsi alla Resistenza francese. «Ricordo che mi dissi: non so chi sono o dove siano, ma troverò coloro che combattono contro questo e mi unirò a loro», ha raccontato vent’annni fa al quotidiano britannico «The Guardian». Riffaud da allora in poi è stata tutto: eroina della Resistenza francese, poetessa, corrispondente di guerra per «L’Humanité», organo ufficiale del Partito comunista francese fino agli anni Novanta del secolo scorso. Il contatto con la guerriglia anti-nazista lo trovò in un sanatorio a Grenoble dove era ricoverata per tubercolosi. Entrò nei Francs-tireurs et partisans, i partigiani del Partito comunista contro l’occupazione tedesca. Fu fatta catturare da un collaborazionista francese dopo aver ucciso un ufficiale tedesco. Il 23 luglio 1944, a 19 anni, aveva sparato alla testa due colpi a un ufficiale occupante in pieno giorno, accanto a un ponte sulla Senna. Fatta prigioniera, fu portata nel quartier generale della Gestapo in Rue des Saussaies a Parigi, per poi essere trasferita nel Penitenziario di Fresnes. Qui fu torturata per tre settimane e le venne comunicata la data della sua esecuzione. Dalle prigioni della Gestapo fu portata al campo di concentramento di Ravensbrück. Si salvò con uno scambio di prigionieri. Tornò nelle file della resistenza per cacciare i soldati tedeschi da Parigi.
Il «New York Times» ricorda che negli ultimi decenni, a chi le si rivolgeva come a un’eroina, lei rispondeva che «centinaia di giovani donne come me hanno partecipato. Eravamo i messaggeri, quelli che raccoglievano informazioni, quelli che riparavano la rete. Quando gli uomini cadevano o venivano catturati, noi trasmettevamo le notizie, tornavamo a tendere le reti. Portavamo documenti, opuscoli, a volte armi». Il giorno del suo ventesimo compleanno, Madeleine Riffaud prese in scacco 86 soldati delle SS: era riuscita a bloccarli in una galleria, dentro al treno blindato di rifornimenti. La cattura di un treno della Wehrmacht nel 1944 la fece insieme ad altri tre partigiani, lanciando prima fuochi d’artificio e granate contro il treno da un ponte sui binari, poi convincendo un macchinista in pensione a staccare la locomotiva mentre il treno stava fermo in galleria. Dopo la guerra soffrì una terribile depressione, «il complesso della sopravvissuta» azzardano le biografie, ma reagì anche con il lavoro giornalistico. Coprì le insurrezioni in Algeria, scrisse dal Vietnam. Nel 1945 sposò Pierre Daix, un critico e intellettuale comunista che era stato imprigionato in un campo di concentramento. Si separarono due anni dopo, e la loro figlia, Fabienne, cresciuta dai genitori di lui, morì di tubercolosi.
A Parigi Madeleine Riffaud incontrò il leader vietnamita Ho Chi Minh e Pablo Picasso, che disegnò il suo ritratto a carboncino per il suo primo libro, Le Poing fermé (1945), una raccolta di poesie scritte mentre era in prigione. Divenne quasi cieca in un incidente stradale, di cui incolpò i nazionalisti francesi in Algeria, dove lavorò come corrispondente negli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta del Novecento. In seguito trascorse sette anni come cronista attivista militante dalla parte dei Vietcong, e iniziò una relazione di cinque decenni con il poeta vietnamita Nguyen Dinh Thi. Lui è morto nel 2003. Negli anni Settanta, quando i comunisti non vedevano di buon occhio le relazioni tra vietnamiti e stranieri, tornò a Parigi. Dopo aver lavorato come assistente infermieristica a Parigi, scrisse Les Linges de la nuit (1974), un libro di saggistica che denunciava il lavoro faticoso e la scarsa retribuzione dei lavoratori ospedalieri. Sembrava infastidita dall’essere considerata l’eroina della liberazione di Parigi nel 1944. «Mi rifiuto di essere un simbolo», ha scritto. «Ero solo una giovane donna intrappolata nella storia». «L’essenziale era non arrendersi». «Quando resistevi avevi già vinto».