L’impasse politico s’inserisce in un contesto molto difficile sia sul piano interno, sia su quello internazionale
La Francia è immersa in una profonda crisi politica, una crisi iniziata dopo le elezioni presidenziali e quelle legislative del 2022, che rischia di protrarsi ancora per molto tempo. Il presidente Emmanuel Macron ha tentato a più riprese di superare la crisi, ma i suoi tentativi sono rimasti tutti senza successo. Adesso prova un’altra volta con la designazione di un nuovo primo ministro (???), al quale ha chiesto di raggiungere un accordo tra i partiti che sosterranno il nuovo Esecutivo e di formare un Governo. Al centro dell’impasse c’è l’incapacità di costituire una maggioranza parlamentare, che è una condizione basilare per il buon funzionamento di una democrazia. Una simile maggioranza viene raggiunta in tutte le principali democrazie occidentali dopo lunghi negoziati, ma non riesce ad emergere in Francia. Le istituzioni della Quinta Repubblica concentrano la maggior parte del potere nelle mani del presidente e gli consentono di governare con una maggioranza parlamentare che gli è favorevole, o in coabitazione, con una maggioranza parlamentare che gli è contraria. I problemi sorgono quando non c’è una maggioranza, come si riscontra nella situazione attuale.
Oggi l’assemblea è composta di tre schieramenti: la sinistra, comprendente un’ala riformista ed un’ala radicale; l’estrema destra e il centro in cui convergono i partiti che sostengono Macron e la destra moderata. Nessuno schieramento ha la maggioranza e ciascuno difende le proprie posizioni e la propria diversità. La ricerca di compromessi e di alleanze tra di loro diventa un’opera gigantesca, ben lontana da quella cultura politica del compromesso che caratterizza molti altri Paesi. Il Governo di Michel Barnier è caduto, dopo tre mesi di vita, sotto i colpi di due schieramenti che non hanno quasi niente in comune: la sinistra e l’estrema destra. Ben 331 deputati su 577 hanno votato la mozione di sfiducia. Ne bastavano 288. Per giustificare il voto di sfiducia è stata invocata l’opposizione alle scelte che il Governo stava compiendo. In particolare si è criticato il tentativo di Barnier di migliorare la situazione delle finanze pubbliche, con tagli e nuove imposte, previsti nel progetto di preventivo per il 2025. In realtà, i due estremi, la destra con Marine Le Pen, e la sinistra con Jean-Luc Mélenchon, puntano all’Eliseo e pensano che una forte instabilità politica possa aiutarli a sostenere la loro strategia. Il loro obiettivo immediato è di ottenere le dimissioni del presidente Macron e di avere elezioni presidenziali anticipate, prima della data prevista del 2027. Sia Marine Le Pen che Jean-Luc Mélenchon hanno già partecipato tre volte, senza successo, alle elezioni presidenziali. Adesso stanno preparando la loro quarta candidatura.
Il futuro nuovo Governo riuscirà a sfuggire ad una mozione di sfiducia e a dare al Paese un po’ di stabilità politica? Anche se probabilmente sarà per un tempo determinato? Una prima risposta a questo interrogativo arriverà soltanto quando il nuovo Governo sarà costituito. Il tentativo in corso è quello di convincere i socialisti e le altre forze riformiste della sinistra ad abbandonare le posizioni assunte fino ad ora e di convincerli ad adottare un atteggiamento favorevole al Governo, con la loro partecipazione diretta o con il loro appoggio esterno. La risposta che daranno i socialisti chiama in causa anche il futuro del Nouveau Front Populaire (NFP), l’alleanza di quattro partiti di sinistra (France insoumise, socialisti, comunisti, ecologisti) creata la scorsa primavera in vista delle elezioni legislative del 30 giugno e del 7 luglio. Fin ora l’NFP è stato dominato dalla personalità di Mélenchon. Le sue visioni estreme non sono però condivise da tutti, anche a sinistra. Nelle ultime prese di posizione dei dirigenti socialisti è emersa chiaramente la loro volontà di emanciparsi e di intraprendere una propria strada.
La crisi politica s’inserisce in un contesto per niente favorevole alla Francia, sia sul piano interno che su quello internazionale. Negli ultimi due anni il debito pubblico francese è salito alle stelle e ha superato i 3200 miliardi di euro. È una situazione che preoccupa il Governo, ormai costretto a ricorrere ai mercati finanziari pagando tassi d’interesse uguali, se non addirittura superiori, a quelli che paga la Grecia. Quest’anno il costo dei prestiti conclusi da Parigi sui mercati finanziari ammonta a 60 miliardi di euro. La situazione suscita qualche timore anche a Bruxelles, perché il forte indebitamento supera di parecchio il limite del 60% del Pil fissato nei trattati dell’Ue e perché un ulteriore peggioramento potrebbe costituire un pericolo per la tenuta della zona euro. Per di più, alla preoccupante situazione finanziaria si aggiungono una congiuntura economica debole, con la chiusura di centinaia di aziende, e tensioni sociali, con numerose manifestazioni tese a difendere e a promuovere il potere d’acquisto. Anche sul piano internazionale la situazione è peggiorata. Tre esempi ne sono una chiara illustrazione. Dapprima in Europa, dove la Francia non svolge più un ruolo di primo piano, anche se è la seconda economia europea, l’unica potenza nucleare del continente ed è membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per decenni il binomio franco-tedesco è stato il motore della costruzione europea. Oggi è quasi spento, in parte per la crisi della Francia, ma anche per le difficoltà economiche e politiche che attraversa la Germania. L’economia tedesca è in recessione. Berlino cerca di farvi fronte ridefinendo la sua strategia, ma nei prossimi mesi la sua attenzione si porterà sulla campagna elettorale che precederà le elezioni politiche anticipate del prossimo 23 febbraio.
Il secondo esempio è il Mercosur, l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e i principali Paesi dell’America meridionale, di fronte al quale la Francia è rimasta quasi isolata e senza la possibilità di far prevalere il suo punto di vista. L’accordo è stato firmato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nonostante l’opposizione del Governo francese che è sostenuto dagli agricoltori e da tutta la classe politica. L’ultimo esempio dell’indebolimento della posizione internazionale della Francia riguarda la presenza militare francese in Africa. Dopo il Mali, il Burkina Faso e il Niger, anche il Ciad e il Senegal hanno chiesto a Parigi di ritirare le sue forze militari dal loro territorio, invocando la volontà di difendere la sovranità nazionale. È un’ultima pagina del periodo coloniale francese, che Parigi subisce senza poter scrivere una riga.