Curiosare, all’ombra del padre

by Claudia

Cronache da uno straordinario mondo perduto nella nuova traduzione del libro di Isaac Bashevis Singer

Viene quasi spontaneo talvolta immergersi fra le pagine di Isaac Bashevis Singer non come lettori, ma nel ruolo di personaggi che osservano avidamente il mondo dello shtetl, fra villaggi e borghi dell’ebraismo yiddish dell’Europa orientale. Magari con gli occhi del piccolo Isaac, come nelle memorie di vita familiare Alla corte di mio padre, proposto da Adelphi nella vivace versione di Silvia Pareschi.

Pubblicate dapprima a puntate con uno pseudonimo sul quotidiano ebraico «Daily Forward», quando il premio Nobel era da tempo negli Stati Uniti, uscirono poi in volume nel 1966.

Evocando gli anni tra l’infanzia e l’adolescenza a Varsavia, a ridosso della Prima guerra mondiale, Singer non parla solo di se stesso e della propria famiglia, ma richiama in vita un vivacissimo mondo ebraico popolato di figure originali: pazzerelli, sempliciotti dal gran cuore, soggetti devoti in costante attesa del Messia, ma anche dotti, furbi e dissoluti.

Personaggi dall’animo turbato che potevano venirsi a sfogare da suo padre, Pinchos Menachem, uomo fiducioso e devoto, che presidiava un beth din, cioè una corte rabbinica che, come ricorda l’autore nella nota introduttiva, era «una specie di connubio fra tribunale, sinagoga, casa di studio e, se vogliamo, lettino dello psicanalista». Uno splendido osservatorio per il piccolo Isaac dai capelli rossi e gli occhi azzurri, sveglio e curioso, che fissa e raccoglie immagini e atmosfere di un tempo destinato a scomparire tragicamente, ma sempre vivo e pregnante nelle sue parole.

Intenso è il rapporto coi propri familiari: i dialoghi col padre su Dio e i testi sacri, l’amore verso la madre Bathsheba, figlia di un rabbino, la stima nei confronti del fratello Joshua e della sorella Esther, anch’essi più tardi scrittori. Ma ancor più coinvolgenti sono le tante storie qui narrate che riescono, non senza ironia e gioco, a delineare un’intera epoca. Con gli occhi di quel lontano bambino, Singer ridà spazio e vita alla sua stessa identità, come svanita nel dramma dell’olocausto.

Nella popolare via Krochmalna, dove abitava la famiglia, ecco arrivare Moshe Blecher, il lattoniere, ottimo biblista, che sui tetti sembra aspettare la venuta del Messia, o una vecchia donna singhiozzante, sedotta molti anni addietro, che aveva abbandonato il figlio illegittimo in una cesta vicino a una chiesa. Si vergogna a entrare in sinagoga e invoca l’Angelo della Morte che venga a liberarla.

Così come il libraio che ogni anno detta un testamento diverso, che mai nessuno leggerà alla sua morte, o lo strano individuo dall’inflessione tedesca, erudito e giramondo, che fa infuriare il rabbino perché vorrebbe vendergli per cento rubli la vita eterna, cioè la sua parte nell’aldilà, di cui è convinto di aver acquisito una grande porzione grazie allo studio della Torah e delle tradizioni sacre.

Non come il povero Reb Chayim, nei cui occhi brilla una bontà antica, che considera il Rabbi «la mano destra di Dio». Per lui la madre di Isaac scrive le lettere ai figli emigrati in America, dove tutto, a suo parere, era alla rovescia e «la gente camminava a testa in giù».

E che dire del quasi centenario Reb Moishe, detto Ba-ba-ba per il suo costante intercalare, che si tappa le orecchie sentendo voci femminili che possono condurlo alla lascivia, e dorme vestito perché il Messia può giungere in qualsiasi istante. Mentre Reb Asher, il lattaio, un uomo che fa beneficenza a destra e a manca, e canta nel coro della congregazione la piccolezza dell’uomo e la grandezza di Dio, salva l’intera famiglia del Rabbi da un incendio durante la notte.

Il piccolo Isaac nascosto spesso in qualche angolo della stanza di suo padre, colleziona immagini inedite e personaggi che sembrano usciti da una fantasia debordante e incantatrice. A quel tempo, inconsciamente, inizia a collezionare tasselli del proprio futuro di scrittore. E la realtà che assorbe con tanta curiosità giovanile è una vera maestra di vita: desideri, ambizioni, meschinità, gioie e dolori sulla scena del beth din diventano stimoli e pulsioni alla scoperta del mondo. E s’infittiscono col tempo le domande del giovane Isaac: dov’era Dio, di cui tanto si parlava in casa sua? E di fronte ai mali del mondo, fra cui quella guerra infame e i tanti morti, «perché Dio rimaneva silenzioso nel settimo cielo?».

Non gli bastano infine le risposte rassicuranti del padre, lui guarda altrove, fa nuove amicizie, legge «libri proibiti» e viene anche in contatto, grazie al fratello che frequenta un atelier, con il mondo dell’intellighenzia e giovani artisti ebrei che non studiavano libri sacri e non pronunciavano benedizioni.

Ma poi, trasferitosi con la madre e un fratellino da zii e cugini nella cittadina di Bilgoraj a causa del tifo che imperversava a Varsavia, ritrova un mondo di vecchio ebraismo con il suo tesoro di spiritualità e dà libero sfogo al proprio entusiasmo: «Il tempo sembrava scorrere all’indietro. Vivevo la storia ebraica».

Ma i tempi cambiano e Isaac osserva con interesse quei giovani che fondano una società sionista, legge scrittori europei e russi e si entusiasma per Spinoza che gli mette in subbuglio il cervello. Infine accetta di insegnare l’ebraico a principianti, maschi e femmine. E forse qualcosa di più intenso si metterà in moto: «Ero pronto per il tumulto che gli scrittori chiamano “amore”», confessa da ultimo.

Ma anche per ridisegnare quel mondo che aveva segretamente assorbito in tanti splendidi romanzi e racconti, in cui ogni lettore cerca alla fine un ruolo come personaggio per sentirsi più addentro, a curiosare come faceva il piccolo Isaac all’ombra del padre.

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