Il ruolo delle due massime potenze nella guerra in Ucraina, ormai giunta a un bivio strategico:c’è la strada che porta al cessate-il-fuoco negoziato e quella di un’escalation fino alla guerra mondiale
Il 2025 sarà decisivo per le guerre in corso, a cominciare dall’Ucraina. Quello che fino a ieri era un conflitto indiretto fra Stati Uniti e Russia sta diventando diretto. La decisione di Biden di autorizzare Zelensky a colpire in profondità il territorio russo con missili di gittata fino a 300 chilometri ha provocato la doppia reazione di Putin. Prima la firma del decreto presidenziale che riscrive la dottrina nucleare russa, riassumibile nel detto «l’impiego dell’atomica è legittimo quando lo dico io». Poi il lancio di un missile balistico di media portata, concepito per trasportare testate nucleari, accompagnato dall’annuncio che la guerra per l’Ucraina è ormai al grado globale. Insomma, saremmo già nella terza guerra mondiale.
Non è ancora così. Ma per la prima volta dall’invasione russa il pendolo sembra inclinare verso lo scontro fra le massime potenze, di cui noi europei saremmo le prime vittime. Una fredda perlustrazione del campo di battaglia, dei leader che cercano di dirigerlo e del clima internazionale porta a questa conclusione. Premessa: nessuno vuole la terza guerra mondiale, anche perché forse sarebbe l’ultima per mancanza di residua umanità. Ma questo è valso a suo tempo sia per la prima che per la seconda. Guerra mondiale non si nasce, si diventa. Per incidente. O per il fatto che una volta iniziato un conflitto a determinarne il corso non sono tanto le scelte dei duellanti quanto l’inerzia degli eventi. Formati da migliaia di micro decisioni, incentivati dalla propaganda fuori controllo e dallo spirito irrazionale che governa il comportamento degli umani quando in gioco è la vita. Immaginare di godere di immunità rispetto a questo rischio supremo significa vivere in una dimensione irreale. Purtroppo è quel che accade oggi, specialmente fra noi europei talmente abituati alla pace da non concepirne la fine.
Quanto all’Ucraina, siamo vicini a un bivio strategico: c’è la strada che porta al cessate-il-fuoco negoziato e quella che scivola verso l’innalzamento della posta fino alla guerra mondiale. Per un certo periodo le due strade correranno parallele. Al più tardi con l’insediamento di Trump potremo intuire quale piega prenderà la partita ucraina. Vedremo che cosa abbia in mente il rieletto tycoon a stelle e strisce. Soprattutto capiremo quali probabilità possiamo concedere al promesso tentativo di chiudere tutto in 24 ore. Crediamo zero, ma sperare è sempre lecito. La tregua è possibile. Lo schieramento delle forze sul terreno segnala che i russi, continuando ad avanzare non troppo velocemente, hanno sotto controllo quella parte di Ucraina che è storicamente – e oggi più di ieri – di tono russo. Intendiamo gran parte del Donbass e ancor più la Crimea. Kiev non lo ammetterà pubblicamente, ma non ha mai avuto né ha ora intenzione di riprendersi i territori ormai conquistati dai russi per governare dei sudditi infedeli. Significherebbe condannarsi a fronteggiare una guerriglia permanente, con atti di terrorismo e manovre destabilizzanti orchestrate da Mosca. Lo stesso vale all’opposto per Putin. Se avanzasse in profondità, arrivando fino a Kharkiv e a Odessa, forse anche a Kiev, gli toccherebbe governare un Paese di forte impronta nazionalista, avvelenato dall’aggressione e dai massacri compiuti dai «cugini» moscoviti. E a ricostruire un territorio semidistrutto senza metà della popolazione originaria.
Ma la posta in gioco non è solo e nemmeno principalmente lo spazio terrestre e marittimo (fondamentale per Kiev mantenere però lo sbocco di Odessa sul Mar Nero). Decisivo sarà lo schieramento internazionale di quel che resterà dell’Ucraina a guerra sospesa. Putin ha invaso la Repubblica di Ucraina perché non venisse integrata nella Nato né accettasse basi e armi atlantiche sul proprio territorio. Il punto dei punti per il Cremlino è la neutralità di Kiev. Per Zelensky è l’aggancio alla Nato. Entrambi status mascherabili con i trucchi della retorica e gli artifizi della diplomazia. Ma alla fine conterà la sostanza: sarà o non sarà l’Ucraina in formato ridotto parte dello schieramento occidentale che Putin definisce «nemico» mentre fino a ieri era «partner»? L’ultima parola la diranno russi e ucraini. Ma un peso importante nello spingere i contendenti verso la via negoziale o il rilancio bellico lo avranno America e Cina. Quest’ultima disposta a sostenere la Russia, ma non a ogni costo. Chi non avrà quasi influenza sugli eventi saremo noi europei, peraltro divisi fra «falchi» polacco-baltici-scandinavi e «colombe» germano-franco-italiane, con i britannici a incitare i «falchi» finché glielo consentiranno gli americani.
Trump ha due priorità apparentemente inconciliabili. Non perdere la guerra e sospenderla. La prima necessità deriva dal fatto che rinunciare all’avanguardia ucraina accettandone la resa comunque mascherata sarebbe smacco intollerabile. È vero che finora l’America, che dal 1945 non vince una guerra vera, non ha mai perso contro la Russia. Il fatto è che non l’ha mai combattuta, soprattutto perché avrebbe dovuto fronteggiare la massima potenza nucleare al mondo. La crisi della deterrenza americana, già avanzata, in caso di sconfitta pur travestita da non-vittoria diverrebbe insostenibile. La Nato ne verrebbe depotenziata, ammesso non si estingua. Allo stesso tempo, Trump vuole la pace perché sa che gli americani non sopporterebbero una guerra mondiale. Imbroglio dal quale sarà difficile districarsi. Analoga, a parti rovesciate, la posizione di Putin. Sa bene che l’opinione pubblica russa – ebbene sì, anche nelle autocrazie il pubblico conta – non vuole l’aggravamento dell’impegno bellico. Né può però presentarsi a mani vuote dopo tre anni di «operazione militare speciale». Non vorremmo che pur di non perdere la faccia russi, ucraini e americani finissero per perdere tutto, massacrandosi a vicenda in un conflitto fuori tutto. Anche perché di una cosa siamo certi: non ce la caveremmo.