Il 5 dicembre sul palco del LAC debutterà anche il giovane violinista Stephen Waarts
Markus Poschner prosegue il suo percorso musicale con l’Orchestra della Svizzera Italiana, per la gioia dei musicisti e del pubblico, che può godere della sintonia sempre più profonda e appassionata tra il maestro e l’orchestra, mentre una concertazione impeccabile esprime una totale condivisione delle idee interpretative.
Giovedì 5 dicembre i pentagrammi su cui le strade artistiche di Poschner e dell’Osi tornano a incontrarsi sono quelli, tanto tecnicamente difficili quanto musicalmente ed emotivamente coinvolgenti, del Concerto per violino e orchestra in re minore di Bela Bartok e del Concerto per violino di Jean Sibelius, di cui ricorrono i centovent’anni dalla prima esecuzione (avvenuta l’8 febbraio del 1904 al Conservatorio di Helsinki) e che si inquadra in una più generale accresciuta attenzione per il compositore-icona della musica finlandese: mai come in questa stagione le sue sinfonie campeggiano nei cartelloni delle più importanti orchestre d’Europa.
Sul palco del Lac debutta Stephen Waarts, ventottenne di talento proveniente dalla California; vi giunge forte di un curriculum già ampio e blasonato, che vanta esibizioni con orchestre quali la Lucerna, la Cleveland o la Israel Philharmonic.
«Ho un fratello gemello, frequentavamo la prima elementare in una scuola privata che ci portava ad assistere a dei concerti – i nostri genitori non amano la classica, quindi in casa non sentivamo certo le note di Mozart o Beethoven» racconta Waarts, nato a Fremont, da cui poi è partito per votarsi totalmente alla classica. «Quando ne ascoltammo uno dove un maestro di violino faceva suonare i suoi allievi – tutti di sei-sette anni, quindi appena più grandi di noi che ne avevamo cinque e mezzo – fummo colpiti; beh, a essere sincero devo confessare che era mio fratello quello particolarmente rapito da quel suono, ma eravamo gemelli e più o meno facevamo tutto assieme, così iniziai anche io. Dopo cinque anni lui smise – ora fa ricerca sui tumori – e io continuai».
A cinque anni e mezzo si approcciò allo strumento seguendo il metodo Suzuki, poi le lezioni nel Conservatorio di San Francisco e il primo, importante salto con Aaron Rosand. «Non fu importante solo per gli insegnamenti didattici, ma perché mi trasmise il senso della storia musicale: mi raccontava dei concerti che aveva ascoltato, di quando ascoltava grandi virtuosi come Szering e Heifetz; era come se mi prendesse e mi mettesse sulle spalle di quei giganti».
Venne anche il momento dei concorsi: «Il primo al mio paese, ci andai perché mi dicevano che era divertente farli e in effetti mi divertii. Quando iniziai a partecipare a quelli più seri (ha vinto, tra gli altri, quelli intitolati a Sarasate e Menhin, nonché il premio del pubblico al Queen Elizabeth di Bruxelles, ndr.) divenne meno divertente, ma allo stesso tempo più stimolante: potei suonare con Vengerov e con l’orchestra di Cleveland», la prima delle grandi orchestre da cui è stato accompagnato in più di cinquanta diversi concerti per violino, da Bach a tutti quelli più amati e difficili di Otto e Novecento.
«Il metodo con cui studio un brano è un po’ simile a quello scientifico di mio fratello: analizzo tutti i vari elementi che compongono una musica, ci rifletto, e poi formulo un’ipotesi interpretativa; arriva quindi la fase sperimentale, per verificare se le scelte funzionano nell’insieme; è un processo che prosegue anche durante le prove con l’orchestra, dove certe scelte interpretative ed esecutive possono anche cambiare in modo significativo».
Tra il primo studio e le prove pre-concerto, c’è un periodo quasi rituale con cui Waarts si avvicina al momento in cui salirà sul palco: «Durante la settimana prima di un concerto, suono almeno una volta al giorno il concerto che devo portare sul palco, spesso registrandomi e riascoltandomi; mi aiuta molto, e lascia che le idee e soprattutto i sentimenti scorrano, approfondendosi, radicandosi o magari anche cambiando un po’ mentre rimango come “immerso” in quel brano». Quando Alexandra Soumm si esibì come solista in Sibelius – la Osi suonava ancora al Palazzo dei Congressi – nella seconda parte del concerto il pubblico la rivide seduta nelle file dei violini a suonare Beethoven. Waarts invece ascolterà il Concerto per orchestra: «In assoluto il mio compositore preferito è Mozart perché la sua musica è vibrante di una incredibile umanità, e allo stesso tempo è di una perfezione tale da far pensare a una creazione divina; ma se dovessi indicarne uno tra quelli del Novecento, sceglierei Bartok.
Nella sua musica c’è una meravigliosa giustapposizione di materiale popolare – innanzitutto melodie semplici – e una costruzione musicale assai complessa, piena di contrappunto. Per questo la musica di Bartok lascia sempre l’impressione, anche alla decima volta che la si suona, di nascondere comunque qualcosa da scoprire, capire, e poi godere suonandola o ascoltandola».