Il franco forte come freno all’immigrazione

by Claudia

Dal profilo della politica economica una delle caratteristiche della Svizzera è rappresentata dal fatto che il know how, ossia le conoscenze e l’esperienza sul cosa e sul come la si deve fare, sono in buona parte concentrate nell’amministrazione federale e nella Banca nazionale. Si può dire che il contributo delle facoltà di economia, che nei Paesi anglosassoni è preminente, da noi è invece trascurabile. Esiste di fatto una specie di divisione del lavoro: le facoltà universitarie si occupano della teoria ma per risolvere i problemi concreti si fa sempre appello all’amministrazione e alla Banca nazionale. Una riprova di questa situazione ci viene offerta dall’intervista che Boris Zürcher, responsabile della direzione per il lavoro presso la SECO, la Segreteria di Stato dell’economia, ha dato di recente alla «NZZ». Al centro della stessa c’era il problema di come limitare l’immigrazione di lavoratori. Qualche mese fa il prof. Rainer Eichenberger, dell’università di Friburgo, aveva proposto proprio per questo scopo di introdurre una tassa sull’immigrazione. Egli pensava che la stessa avrebbe potuto indurre molti immigrati a desistere dal loro intento. Richiesto di dare un parere su questa proposta, Zürcher non si è fatto pregare: secondo lui «una tassa sull’immigrazione sarebbe al massimo un sedativo politico».

Perché non influenzerebbe la causa prima dell’immigrazione di lavoratori, ossia il continuo aumento della domanda di forza lavoro da parte dell’economia, e perché sorgerebbero rapidamente problemi di applicazione. A una misura del genere numerosi rami della produzione e dei servizi reagirebbero con richieste di trattamento speciale. Con il tempo, e con l’aumento dei casi di trattamento speciale, l’effetto della tassa tenderebbe perciò ad annullarsi. No, sostiene Zürcher, se si vuol veramente limitare l’immigrazione occorre agire sul piano della macroeconomia con misure monetarie, valutarie e fiscali. Nell’intervista Zürcher non ha fatto un elenco dettagliato di queste misure. Da quanto ha detto, tuttavia, sembrerebbe che la sua preferenza si porterebbe sulle misure valutarie. Siccome la nostra economia vive soprattutto dell’esportazione, una delle misure più efficaci per frenarne la crescita – e con essa l’aumento della domanda di lavoratori stranieri – sarebbe costituita da un ulteriore rafforzamento del franco. Egli è naturalmente conscio che una misura del genere potrebbe avere conseguenze negative importanti. Sostiene tuttavia che nell’economia ci sono sempre conflitti di obiettivi, ragione per cui non si ottiene mai qualcosa gratis. Zürcher è convinto che in futuro la pressione politica per contenere l’immigrazione aumenterà e che quindi la rivalutazione del franco, come misura per combatterla, potrebbe diventare un tema d’attualità. Questo anche perché non ci si può attendere molto da eventuali altre misure di contenimento dell’immigrazione come, per esempio, una clausola di protezione nei confronti dell’immigrazione dai paesi dell’Ue, da inserire in un futuro trattato, oppure l’ulteriore mobilitazione di possibili riserve di manodopera femminile.

Zürcher pensa che l’Ue non accetterà mai clausole che possano limitare il libero accesso della sua manodopera in Svizzera. Quanto al potenziale di manodopera femminile, egli osserva che il grado di occupazione delle donne è in continuo aumento, ma non reputa però che misure fiscali – come l’introduzione della tassazione individuale per le coppie sposate o aumenti dei sussidi agli asili nido – possano effettivamente migliorare la situazione. Il suo ragionamento sembra quindi non fare una grinza: se la Svizzera desidera contenere l’immigrazione di lavoratori dall’estero, la sua economia deve crescere meno. Sorprende però che a portarlo avanti sia uno dei «grand commis» della SECO. È un modo di pensare che farà felici tutti coloro che a sinistra e a destra dello spettro politico argomentano oggi in favore di una crescita economica e demografica limitata se non addirittura nulla. È giusto però ricordare che una simile politica avrebbe costi rilevanti per i rami di produzione e dei servizi che vivono dell’esportazione come pure per le regioni che, come per esempio il Ticino, hanno una base economica composta essenzialmente di questi rami. In conclusione, la rivalutazione del franco proposta da Zürcher potrebbe conseguire l’obiettivo di limitare l’immigrazione di lavoratori, ma creerebbe sicuramente costi elevati per i rami e le economie delle regioni che da sempre hanno sofferto per il franco forte.