L’estate politica francese, iniziata con le elezioni legislative dello scorso 8 luglio, ha trovato uno sbocco nella costituzione di un nuovo Governo. È stata un’attesa di due mesi abbondanti con lunghe pause, un po’ volute dal presidente Emmanuel Macron, un po’ legate ai Giochi olimpici e ai Giochi paralimpici, e con alcuni intensi momenti politici provocati dal Nuovo Fronte Popolare che, forte del suo risultato elettorale, ha tentato di ottenere la guida del nuovo Esecutivo.
Il nuovo Governo è presieduto da Michel Barnier, un politico di 73 anni che ha una lunga carriera alle spalle, sia sul piano interno che su quello europeo. È stato infatti più volte membro del Governo francese, in particolare agli Affari esteri, agli Affari europei e all’Agricoltura, e a livello internazionale si è distinto soprattutto come membro della Commissione europea, dove ha avuto l’ingrato compito di negoziare con Londra l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (31 gennaio 2020). È membro del partito Les Républicains (LR) e viene volentieri presentato come un erede della destra cattolica sociale. Gli viene riconosciuta una spiccata capacità di ascoltare, di tener conto delle tesi degli avversari politici e soprattutto di riuscire a trovare compromessi. Il suo modo di comportarsi piace ai francesi. I primi sondaggi lo collocano già al primo posto tra i politici più apprezzati.
La compagine guidata da Barnier presenta però due importanti debolezze che suscitano interrogativi sulla sua possibilità di governare per mesi, o per anni, e di non essere costretta a dimettersi entro tempi brevi. La principale debolezza è l’assenza di una maggioranza parlamentare. Il nuovo Governo può appoggiarsi soltanto su due partiti. Il blocco centrale che sostiene il presidente Macron e Les Républicains. Il caso vuole che sono i due partiti che hanno perso maggiormente alle ultime elezioni legislative. LR hanno raggiunto soltanto il 5% dei voti. Alcuni politici e molti osservatori, non senza umorismo, hanno subito dichiarato che un partito, prima di poter conquistare gli ambiti ministeri, deve perdere un buon numero di seggi parlamentari. Insieme le due forze politiche sono appoggiate da circa 230 deputati. È un numero rispettabile, ma non sufficiente per raggiungere la maggioranza assoluta di 289 deputati in un’assemblea che ne comprende 577. Siamo dunque di fronte ad un Governo di minoranza, reso possibile da un frazionamento estremo dell’Assemblea nazionale, nella quale sono emersi tre gruppi su posizioni molto diverse. Il blocco che sostiene il nuovo Governo; la sinistra, con il Nuovo Fronte Popolare, che vanta 193 seggi, e l’estrema destra, con il Rassemblement National, che può contare su 142 deputati. La situazione emersa dalle elezioni ha reso impossibile la nascita di una forte coalizione di Governo. Ossia la nascita della premessa necessaria per far funzionare bene le istituzioni della Quinta Repubblica, attive dal lontano 1958.
Un secondo importante punto debole cui è confrontato il nuovo Governo è la sua composizione politica. La presenza nell’assemblea di più partiti diversi avrebbe dovuto portare alla creazione di un Esecutivo di unità nazionale. Lo stesso presidente Macron chiese al nuovo primo ministro di orientarsi in questa direzione. Barnier ha sicuramente tentato e per questo ha avvicinato numerose personalità della sinistra moderata, chiedendo loro di far parte del suo Governo. Personalità socialiste come l’ex primo ministro Bernard Cazeneuve o il presidente della Corte dei conti Pierre Moscovici. Il tentativo però non ha praticamente avuto nessun esito e il risultato finale è stato la nascita di un Governo di destra, con la partecipazione di un solo politico di sinistra, il nuovo ministro della giustizia Didier Migaud. Molti osservatori sostengono ora che il nuovo Esecutivo riflette la società francese, che nella sua maggioranza è di destra. Altri affermano che la non partecipazione dei partiti politici di sinistra porterà probabilmente a una forte conflittualità sociale.
Quale sarà la durata del nuovo Governo Barnier? È la domanda che tutti si pongono e alla quale nessuno riesce a dare una risposta convincente. Il futuro del Governo dipenderà in primo luogo dall’appoggio parlamentare del quale potrà disporre. Rimarrà in carica fin quando il Rassemblement National e il Nuovo Fronte Popolare lo consentiranno e dovrà dimettersi quando questi due schieramenti d’opposizione uniranno le loro forze parlamentari per farlo cadere.
Ogni partito politico agisce in funzione dei propri interessi e in vista delle prossime scadenze elettorali, che sono una possibile rielezione dell’Assemblea nazionale nel 2025 e le Presidenziali nel 2027. Molto dipenderà anche dalle ambizioni personali dei principali tenori della politica francese che, a parte l’eccezione del nuovo ministro dell’interno Bruno Retailleau, hanno preferito rinunciare a far parte del nuovo Governo. Gli interessi in gioco sono molteplici. Le differenze che possono caratterizzarli possono garantire la sopravvivenza del nuovo Esecutivo di Michel Barnier. La convergenza dei vari interessi, invece, porrà fine alla nuova esperienza di Governo.
La laboriosa estate politica lascia qualche traccia anche sulla posizione internazionale della Francia. Il presidente Macron ne esce chiaramente indebolito. Una parte della sinistra ha perfino avviato una procedura per destituirlo. Fino a poco tempo fa Macron rappresentava una voce autorevole, ascoltata e almeno in parte seguita soprattutto per il divenire dell’Europa. Oggi i partner europei guardano a Parigi con meno attenzione e con più scetticismo. Per molto tempo l’asse Parigi-Berlino è stato il motore dell’Europa. Oggi questo asse ha perso buona parte della sua forza trainante, soprattutto a causa della debolezza dei suoi due protagonisti, ossia di Macron e del cancelliere tedesco. Olaf Scholz guida una coalizione di Governo che da mesi sta perdendo consensi e di recente ha subito gravi sconfitte elettorali regionali in Turingia, in Sassonia e, almeno in parte, anche nel Brandeburgo. Sono premesse che lasciano poco spazio all’ottimismo e che poco possono contro l’avanzata dell’estrema destra che emergerà nelle elezioni austriache del 29 settembre e più tardi in altri Paesi.