A Berna si discute il futuro dell’esercito, dai trenta miliardi per finanziarlo alla collaborazione con la Nato
Quasi trenta miliardi per l’esercito, nei prossimi quattro anni. Il tema, e la somma a dieci cifre, hanno dato vita al dibattito più infuocato di questa sessione autunnale delle Camere federali. L’argomento è tutto in grigio e in verde ma a farla da padrone la scorsa settimana in Consiglio nazionale è stato soprattutto il rosso all’orizzonte per i conti della Confederazione. E così, in questo incipit, ci torna in mente una frase di Peter Bichsel, uno dei maggiori scrittori svizzeri contemporanei. Raccontando di una sua giornata trascorsa ad ascoltare i dibattiti dalle tribune del Parlamento, questo autore solettese scrive nel suo libro Des Schweizers Schweiz che «quasi tutti gli argomenti discussi hanno a che fare con la finanza. In gioco ci sono le cifre, sempre e soltanto le cifre. Nel nostro Paese abbiamo sette Dipartimenti delle finanze. I costi sono sempre il primo tema, e spesso anche l’unico». Considerazioni scritte quasi trent’anni fa ma tutto sommato tuttora valide.
Non per nulla pure il canovaccio del dibattito sull’esercito è stato dominato proprio dal tema delle finanze, anche se va detto che tra le cifre hanno fatto capolino anche altri argomenti di natura più politica e militare. L’invasione russa dell’Ucraina ha sconvolto i piani di difesa del Continente europeo, e anche la geo-politica internazionale. La Svizzera, è stato ribadito da più parti in aula, deve pertanto essere in grado di riposizionarsi e di aggiornare le proprie capacità di difesa per garantire al meglio la propria sicurezza, anche se a sinistra si è più volte sottolineato che i rischi di un attacco militare contro il nostro Paese sono da considerare estremamente limitati. In ogni caso per l’esercito del futuro si aprono due grandi cantieri. Il primo riguarda un’estensione della collaborazione militare con la Nato. Esercitazioni in comune che in questa sessione hanno raccolto il sostegno del Consiglio degli Stati, ma che continuano a sollevare dubbi da parte di chi ritiene che questo tipo di cooperazione possa mettere in discussione la tenuta della neutralità elvetica.
Il secondo cantiere ha a che fare con la necessità di investire maggiormente in favore dell’esercito e dei suoi arsenali. E su questo ultimo punto la settimana scorsa si è discusso soprattutto di cifre, in un dibattito fiume e senza esclusione di colpi. Il piano del Consiglio federale era noto dallo scorso inverno, all’esercito per i prossimi quattro anni, fino al 2028, vanno accordati 25 miliardi e 800 mila franchi. Nel giugno scorso il Consiglio degli Stati ne ha aggiunti altri quattro, portando la somma totale a quasi 30 miliardi. E questo anche perché negli ultimi trent’anni, dalla fine della guerra fredda, gli investimenti militari sono diminuiti costantemente, a tal punto che oggi le capacità di difesa del nostro Paese vengono da più parti considerate insufficienti. In altri termini i cosiddetti «dividendi della pace» generati dalla caduta della Cortina di ferro hanno lasciato lacune negli arsenali del nostro esercito, non solo per quanto riguarda le armi classiche ma anche nel contrasto alle forme ibride di guerra, in particolare nell’ambito della cybersicurezza e della disinformazione.
Tradizionalmente vicino all’esercito, il fronte borghese ha su questo punto sottolineato che se nel 1990 nelle forze armate veniva investito l’1,3% del nostro Prodotto interno lordo, nel 2022 si era invece scesi allo 0,7% del Pil. Le discussioni in aula hanno fatto emergere due soluzioni principali per poter disporre dei finanziamenti necessari e per portare la spesa in favore dell’esercito all’1% del Pil entro il 2030. Da una parte, il fronte borghese chiedeva di trovare questi quattro miliardi supplementari risparmiando in altri settori. Tagli da far scattare sostanzialmente in quattro ambiti principali: riducendo i fondi a disposizione della cooperazione internazionale, diminuendo la parte di imposta federale diretta che Berna versa ai Cantoni, e con un intervento sulle spese per il personale e su quelle dello stesso Dipartimento della difesa. A sinistra ci si è opposti con forza contro questi tagli, appoggiando invece una proposta del Centro e della ministra della Difesa Viola Amherd, che mirava alla creazione di un fondo speciale a favore della difesa del Paese, dotato di ben dieci miliardi di franchi. Si trattava di un prestito, con l’esercito chiamato a rimborsarlo entro il 2045, ma anche di una misura straordinaria, esterna ai conti della Confederazione, forgiata anche per scongiurare l’entrata in campo del freno all’indebitamento, strumento in vigore ormai da più di vent’anni per impedire alle finanze federali di dover fare i conti con pesanti squilibri strutturali.
Al termine della contesa in aula ha avuto la meglio la versione capitanata da UDC e PLR, anche perché il Centro non è riuscito a compattarsi a sostegno del fondo speciale in favore dell’esercito. Resta ora però da capire se in dicembre, quando si tratterà di discutere del budget 2025 della Confederazione, ci saranno davvero delle maggioranze in favore dei tagli. E qui la battaglia politica rischia di farsi davvero infuocata. Basti dire che i Cantoni non hanno nessuna intenzione di accettare una riduzione della parte di imposta federale che viene loro riversata dalla Confederazione. E che per quanto riguarda la cooperazione internazionale i segnali che giungono dal Parlamento sono perlomeno discordanti. Non più tardi di due settimane fa il Consiglio degli Stati si è opposto a chi chiedeva di tagliare i fondi a sostegno di questo settore. Trovare di volta in volta dei compromessi sui tagli da fare sarà dunque compito arduo, e all’orizzonte spunta, o ritorna, anche un’altra possibile soluzione, l’aumento dell’1% dell’IVA in favore dell’esercito ma anche dell’AVS. Proprio giovedì scorso il Consiglio degli Stati ha approvato una mozione che va in questa direzione, un’opzione che va ora concretizzata. E anche su questa pedana ci sarà di che tirare di fioretto. E così, a ben guardare, Peter Bichsel pare proprio avere ragione: «I costi sono sempre il primo tema, e spesso anche l’unico».