Ci sono troppi cantieri, si registra carenza di docenti, personale sovraccarico e qualità dell’istruzione a rischio; il dibattito sul futuro dell’istituzione scolastica s’infiamma
È piena estate. In un’aula dell’Alta scuola pedagogica di Berna, uomini e donne di età diverse, con esperienze di vita e curriculum professionali differenti, hanno deciso di rimettersi in gioco. Si sono iscritti a un corso intensivo di due settimane per prepararsi al mondo che li aspetta in agosto: quello della scuola. Vogliono diventare insegnanti. Sono i cosiddetti «Quereinsteiger», ossia persone senza un diploma d’insegnamento.
Tra di loro c’è anche Daniela Wüthrich: madre di quattro figli in età scolastica, sposata con un contadino di Trub, nell’Emmental. «Affronto questa nuova sfida con una certa apprensione», confida la futura maestra di una pluriclasse, dalla terza alla sesta elementare, in una piccola scuola in campagna nei pressi di Langnau. «Voglio costruire un bel rapporto con le allieve e gli allievi, crescendo e imparando insieme». In aula porterà l’esperienza di mamma, di responsabile d’economia domestica nel settore alberghiero e quasi nessuna competenza pedagogica e didattica.
Il Summer Camp, iniziativa promossa per la seconda volta dalla PHBern, è una delle misure adottate per sopperire alla cronica carenza di insegnanti. Attualmente, nel Canton Berna, un maestro su sei non ha un diploma d’insegnamento. In totale sono circa 3000, di cui 1500 studenti in formazione. «Non c’è una formula magica per risolvere il problema. Nessun Cantone l’ha trovata finora», dice Andrea Meuli, responsabile dei corsi estivi. «Abbiamo due problemi demografici: da una parte, la popolazione aumenta e con essa anche il numero di classi, dall’altra, gli insegnanti nati durante il boom economico stanno andando in pensione».
Le soluzioni trovate dal Canton Berna e applicate anche in buona parte della Svizzera – l’assunzione di persone senza diploma, l’aumento della percentuale di impiego e del numero di allievi per classe – sono semplici cerotti. Risolvono il problema solo nel breve termine. Sul lungo periodo servono altri provvedimenti. Secondo gli scenari per il sistema di formazione dell’Ufficio federale di statistica, da qui al 2031 mancheranno 13’000 maestri a livello nazionale e sarà necessario assumere 45’000 insegnanti nella scuola elementare e 26’000 nella scuola di livello secondario I.
Alcuni esperti, tra cui la presidente dell’Associazione mantello LCH, Dagmar Rösler, e il presidente dell’Associazione svizzera delle direzioni scolastiche, Thomas Minder, sostengono che l’attrattiva del mestiere deve essere aumentata, creando prospettive di carriera e promuovendo lo sviluppo professionale. Inoltre, i maestri devono potersi concentrare sul loro compito principale: l’insegnamento.
I problemi dell’inclusività
Stando a un recente sondaggio, il personale docente è relativamente soddisfatto, assegnando alla propria professione il voto 4,2 nella Svizzera tedesca e di 3,9 in Romandia su una scala scolastica da 1 a 6. A scontentare gli insegnanti sono soprattutto due fattori: la scuola inclusiva e le crescenti incombenze amministrative. Che la scuola stia attraversando un momento di difficoltà lo ha riconosciuto anche la politica. Ad esempio, il Partito liberale radicale svizzero ha avviato un dibattito sul mondo della scuola con un documento programmatico. Nel testo formula varie proposte, tra cui la richiesta di concentrare l’insegnamento sulle competenze fondamentali: leggere, scrivere e far di conto.
I dati dello studio PISA 2022 gli danno parzialmente ragione, almeno per quanto riguarda la lingua di scolarizzazione. Alla fine della scuola dell’obbligo, infatti, il 25 per cento delle allieve e degli allievi di 15 anni non raggiungeva il livello minimo in lettura. Il PLR ritiene insufficienti anche i risultati raggiunti nell’apprendimento della prima lingua straniera nella scuola elementare e ne propone l’abolizione.
Simone Ganguillet, docente di francese e multilinguismo all’Alta scuola pedagogica di Berna, spiega che l’insegnamento precoce di una lingua straniera è giustificato dal fatto che i bambini piccoli hanno una maggiore facilità nell’acquisire la comprensione orale e la pronuncia. L’esperta sottolinea che l’obiettivo della scuola non è formare allievi e allieve che parlano perfettamente francese, ma piuttosto motivarli ad approfondire le competenze fondamentali e promuovere il plurilinguismo funzionale.
Anche la scuola inclusiva suscita discussioni, soprattutto nella Svizzera tedesca. Il PLR chiede un ripensamento. E non è il solo a farlo. L’idea di promuovere l’integrazione di persone con disabilità a scuola è ampiamente condivisa. A far discutere è la sua applicazione. L’associazione mantello LCH sottolinea che mancano le risorse e il personale per soddisfare questo mandato, pur ribadendo la sua opposizione alla proposta del PLR di abbandonare la scuola inclusiva.
Preoccupa anche la qualità dell’insegnamento. Molti temono che, a causa dei numerosi cantieri scolastici, del crescente carico amministrativo e dell’assunzione di persone senza diploma, i maestri non abbiano più il tempo per svolgere adeguatamente il proprio lavoro. Roland Reichenbach, professore di scienze dell’educazione all’Università di Zurigo, ha espresso questa preoccupazione in un’intervista alla «NZZ am Sonntag», ricordando che una buona scuola è fatta di «personale docente motivato, impegnato e che crede nella capacità di apprendimento delle bambine e dei bambini».