Il re dei Sefarditi, l’eredità spirituale e politica del Rabbino Ovadia Yosef

by Claudia

La straordinaria parabola del Rabbino e leader dello Shas che ebbe sempre a cuore la coesione della collettività ebraica

Lo scorso martedì, mentre le delegazioni israeliana e palestinese discutevano, ancora senza successo, i termini di un accordo di cessate il fuoco e restituzione degli ostaggi, i media hanno diffuso la notizia del recupero da parte dell’esercito dei corpi di altri sei ostaggi trovati senza vita in un tunnel di Gaza nel corso di un’operazione. «Se mio padre fosse ancora qui gli ostaggi sarebbero tornati a casa da un pezzo» ha commentato amareggiata la sera stessa Adina Bar-Shalom, figlia del grande Rabbino Ovadia Yosef, subito prima della proiezione presso la Biblioteca Nazionale di Gerusalemme del nuovo documentario di Ofer Pinhasov Ovadia Yosef: re dei sefarditi.

Attraverso materiale di archivio e interviste ai familiari e alla cerchia ristretta, Pinhasov ripercorre la vita personale e pubblica del carismatico rabbino, decisore, guida spirituale e politica in una chiave originale che getta luce sulla sua natura saggia e conciliante.

Nato a Bagdad nel 1920, Ovadia Yosef si trasferì con la famiglia a Gerusalemme già nel 1924, dimostrando subito un’incredibile intelligenza e propensione allo studio della Torà. Nonostante le difficoltà economiche in cui versava la famiglia, proprietaria di un alimentari nel quartiere popolare di Bet Israel, a dodici anni cominciò gli studi presso l’accademia rabbinica Porat Yosef nella città vecchia, per ottenere poi il diploma di rabbino e giudice nel 1940. Pur ricoprendo negli anni cariche ufficiali di grande prestigio, come quella di vice rabbino d’Egitto, decisore dei tribunali rabbinici di Gerusalemme e Petah Tikva, rabbino capo di Tel Aviv e soprattutto di Rabbino capo sefardita di Israele dal 1972 al 1983, rav Ovadia Yosef ha sempre dedicato grande attenzione alla gente comune, tenendo sin da giovanissimo lezioni agli uomini che la sera dopo il lavoro si riunivano nelle sinagoghe di quartiere per ascoltarlo.

Il suo cavallo di battaglia era l’Halachà, il complesso delle norme del diritto ebraico, nell’ambito del quale intraprese una vera e propria rivoluzione fondata sul principio di facilitare l’osservanza, invece di renderla più rigorosa del necessario come è ancora oggi in uso presso il mondo ashkenazita ultraortodosso. Con la sua opera instancabile, tradottasi anche nella pubblicazione di decine di importanti volumi, il lungimirante rabbino puntava non solo a riportare prestigio al mondo sefardita orientale, ma anche a unificare quest’ultimo sotto un unico cappello, quello dell’osservanza dello Shulchan Aruch, codice di norme redatto dallo studioso Yosef Caro.

Tra le pronunce più importanti del rabbino Ovadia Yosef ci sono quelle che hanno «liberato» le mogli dei soldati dispersi nella Guerra del Kippur, consentendo loro di risposarsi benché non si fosse ritrovato il corpo dei mariti, nonché quelle per la restituzione dei territori occupati in cambio della pace e per lo scambio di prigionieri anche per riportare a casa un solo ostaggio vivo, come nel famoso caso del soldato Ghilad Shalit, il cui riscatto costò la liberazione di un migliaio di detenuti tra cui il capo di Hamas Yahya Sinwar.

Le sue posizioni «pacifiste» dopo la Guerra dei Sei Giorni, ma soprattutto al tempo degli Accordi di Oslo, vennero vissute come un tradimento soprattutto dai sionisti religiosi che manifestarono fuori dalla sua casa esasperando l’amata moglie Margalit, madre dei suoi undici figli, che morì d’infarto nel 1994, verosimilmente provata dalla situazione. L’amore incondizionato per la famiglia, la sincera dedizione al popolo di Israele, la gioia di vivere e la passione per la musica orientale lo resero molto popolare anche tra i tradizionalisti che lui ambiva avvicinare allo studio della Torà. Costretto contro la sua volontà a terminare la cadenza di Rabbino capo, accettò dunque di entrare in politica divenendo il leader spirituale dello Shas che, da partitino in lizza alle elezioni municipali di Gerusalemme all’inizio degli anni 80 sotto la guida di Aryeh Deri, divenne uno dei partiti più importanti, passando da 4 mandati a 17 nel 1999 in seguito alla condanna di Deri per corruzione e frode che gli costarono oltre tre anni di reclusione. L’incriminazione da parte dell’Alta Corte di Giustizia, infatti, venne vissuta dagli elettori come l’ennesimo atto di discriminazione nei loro confronti da parte degli ashkenaziti che, sin dalla fondazione dello stato, hanno relegato gli ebrei sefarditi e orientali a un ruolo marginale nella costruzione dell’identità nazionale.

Se, tuttavia, la narrativa dominante individua nello Shas un movimento sociale di elevazione della condizione degli ebrei mizrahìm in particolare ultraortodossi, promotore di un autonomo sistema scolastico e di scuole rabbiniche, negli anni invece di conferire loro potere, il partito ha plasmato i propri elettori su imitazione della società lituana ultraortodossa, in cui gli uomini studiano solo materie religiose, mantenuti dalle mogli e dallo stato, e sono esentati dal servizio militare. Inoltre, mentre Ovadia Yosef aveva mantenuto posizioni di apertura verso la classe dirigente sionista, collaborando fianco a fianco con politici come Begin, Rabin e Peres, Deri ha scelto di cavalcare lo shift a destra entrando nella coalizione di Netanyahu e opponendosi alla leva obbligatoria con posizioni apertamente antisioniste.

A fungere da contraltare alla controversa figura di Deri nel documentario di Pinhasov è la stessa Adina Bar-Shalom, attivista per la pace, sostenitrice del movimento Sinistra di Fede e promotrice dei diritti delle donne allo studio e alla carriera, nonché fondatrice della Miclalà Charedìt di Gerusalemme, primo importante istituto superiore a conferire lauree a uomini e donne ultraortodossi in diverse discipline. Per quanto la versione di rav Ovadia Yosef promossa dalla sua coraggiosa primogenita, e avvalorata dal sofisticato lavoro di Pinhasov, sia forse a tratti edulcorata, i messaggi politici contro il fanatismo ebraico religioso delle passeggiate sul Monte del Tempio arrivano con un tempismo perfetto, per esempio ricordando al pubblico come il riscatto dei prigionieri di guerra sia un precetto ebraico di fondamentale importanza.

Se Bar-Shalom, in quanto donna e dalle vedute «troppo» larghe, risulta spesso scomoda agli uomini dell’ambiente patriarcale da cui proviene, non c’è dubbio tuttavia che l’eredità del padre – che cerca instancabilmente di tener viva, condividendola generosamente con il popolo di Israele affinché resti unito – risuoni come un inno di pace e tolleranza che antepone a tutto il valore sacro della vita. Dal canto suo Deri, uno degli uomini più influenti della scena politica israeliana dopo Netanyahu, pur presentandosi nel documentario come «uno di famiglia», dal proprio padre spirituale sembra aver assorbito ben poco, come dimostra il fatto che sino a oggi si sia ben guardato dal rischiare la poltrona a favore del ritorno degli ostaggi.

Il rabbino Ovadia Yosef se n’è andato da questo mondo il 7 ottobre 2013, all’età di 93 anni, lasciando il Paese orfano di un leader che abbia a cuore il bene dell’intera collettività ebraica facendo da collante. A Israele la scelta di quale dei due eredi incoronare.

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