Cosa succede in Bangladesh

by Claudia

Dalla rivolta degli studenti alle dimissioni della premier, passando dall’ombra jihadista e dal ruolo degli Stati Uniti

È cominciato tutto come una rivolta di studenti. Qualche centinaio di ragazzi che si sono riversati lo scorso luglio per le strade di Dacca, capitale del Bangladesh, chiedendo la revisione del sistema che attribuiva una grossa fetta dei lavori nella pubblica amministrazione ai discendenti di coloro che avevano combattuto nel 1971 la guerra di indipendenza dal Pakistan. Dopo giorni di proteste, la premier Sheikh Hasina decide di agire mandando in piazza l’ala giovanile dell’Awami League, il partito al Governo. A sedare i violenti scontri tra gruppi di giovani viene inviato l’esercito: nei giorni successivi gli scontri di piazza continuano, e restano sul terreno centinaia di ragazzi e anche un centinaio di poliziotti. Migliaia di persone vengono arrestate, viene data alle fiamme la stazione ferroviaria e anche la sede della tv nazionale. Il Governo impone il coprifuoco, ma le richieste vengono alla fine accolte e il sistema delle quote viene abolito. A questo punto, però, la rivolta degli studenti diventa qualcosa di diverso. La decisione del Governo arriva troppo tardi, è la scusa ufficiale, ci sono stati troppi morti e troppi arresti. In realtà dietro al movimento, a questo punto, si nascondono (e nemmeno tanto bene) i partiti islamici: il Bangladesh Nationalist Party, che è il maggior partito di opposizione con mai nascoste simpatie per l’internazionale del terrore, e la Jamaat-e-Islami legata a filo doppio al Pakistan e a organizzazioni terroristiche varie.

Tra i dimostranti cominciano a spuntare le bandiere della jihad e si sente urlare «Allah akbar» mentre la folla, che chiede le dimissioni di Sheikh Hasina, comincia ad assaltare sistematicamente edifici governativi, stazioni di polizia e infine il palazzo governativo. Sheikh Hasina, dopo quasi venti anni al potere, viene costretta a fuggire in India. I generali prendono il controllo e dichiarano che presiederanno alla formazione di un Governo ad interim. Nel frattempo nel Paese si scatena un vero e proprio delirio di distruzione e un pogrom ai danni della minoranza induista: case e templi vengono assaltati e dati alle fiamme, centinaia e centinaia di persone vengono costrette a nascondersi o a cercare di raggiungere la vicina India. I dimostranti, gli «studenti» che chiedono democrazia e libertà, cominciano a demolire sistematicamente le statue del simbolo per eccellenza dell’indipendenza del Paese, il padre fondatore del Bangladesh Mujib Rahman: colpevole, a quanto pare, di essere il padre della vituperata Sheikh Hasina. Il posto di primo ministro ad interim, in attesa di nuove elezioni, viene offerto al premio Nobel Muhammad Yunus, fondatore della Grameen Bank e padre del sistema del microcredito. A questo punto la retorica (specie a Occidente) su libertà e tirannia si spreca: gli studenti hanno abbattuto il tiranno, la libertà trionfa, il Bangladesh si avvia a diventare un fulgido esempio di democrazia. Purtroppo le cose non stanno esattamente così. E alla rivoluzione, come la storia insegna, segue in genere il terrore.

Nei due decenni in cui ha detenuto il potere, Hasina ha contribuito a far uscire milioni di persone dalla povertà, ha reso il Bangladesh un Paese in pieno sviluppo economico e ha debellato un movimento jihadista che un tempo minacciava di spingere il Paese in guerra. La premier, però, ha iniziato a trasformarsi nei tiranni che lei stessa aveva vituperato, arrestando i suoi oppositori, violando diritti umani e libertà di parola, truccando le elezioni. Vero, ma non è tutto. Secondo Salah Uddin Shoaib Chaudry, esperto bengalese di terrorismo e direttore del quotidiano «Blitz», e secondo molti altri analisti indiani e pakistani, dietro la Primavera bengalese (che dovrebbe richiamare le famose Primavere arabe di qualche anno fa) ci sarebbero manovre geopolitiche facilitate dagli americani e cominciate molti mesi fa. A quanto pare, dicono, Sheikh Hasina si sarebbe rifiutata di cedere alle pressioni (e alle minacce) di Washington che chiedeva di installare una base militare nel Paese. Choudhury ricorda che: «Quando l’11 gennaio 2007 è salito al potere un Governo provvisorio sostenuto dall’esercito, Hillary Clinton ha fatto sforzi frenetici per influenzare le figure chiave di quel Governo a prendere in considerazione Muhammad Yunus come “nuovo leader del Bangladesh”, e per costringere Sheikh Hasina e Khaleda Zia (leader del Bnp) al ritiro e all’esilio forzato». La BBC ha riferito il 7 aprile 2007 che «l’esercito avrebbe sponsorizzato il premio Nobel per la pace Dr. Muhammad Yunus come nuovo leader». E Yunus, in un’intervista concessa mesi fa alla Reuters, avanzava dubbi sulla regolarità delle elezioni affermando che sono state «boicottate dal principale partito di opposizione, i cui leader principali sono stati incarcerati o in esilio prima delle elezioni». In realtà Khaleda Zia è stata appena liberata dall’esercito dal carcere in cui si trovava per appropriazione indebita dei fondi di un orfanotrofio. Mentre suo figlio Tarique Rahman – presidente in carica del partito – vive in autoesilio nel Regno Unito dal 2007, visto che in patria rischia due ergastoli per il suo coinvolgimento diretto in attacchi terroristici contro Sheikh Hasina e per il suo tentativo, poi sventato, di fornire armi ed esplosivi a gruppi terroristici in India. Curiosamente gli Usa hanno cancellato il visto di Sheikh Hasina mentre la Gran Bretagna si appella alla legge internazionale sui rifugiati per negare asilo alla ex-premier.

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