Per ora la guerra rimane circoscritta

by Claudia

Israele/Iran: la serie di morti a distanza è nelle intenzioni dei contendenti un modo per evitare che lo scontro degeneri

Negli ultimi tempi Israele ha ucciso due tra i suoi principali nemici. A Beirut, nel quartiere popolare di Dahiyeh, roccaforte di Hezbollah, un missile ha colpito il 30 luglio l’edificio dove si trovava Fuad Shukr, braccio destro del capo supremo, Hassan Nasrallah. Gerusalemme ha rivendicato l’assassinio mirato. Poche ore dopo la vittima è stato nientemeno che il presunto capo politico di Hamas, Ismayl Haniyeh, centrato da un altro missile a Teheran, dove era ospite del Governo iraniano per la cerimonia di inaugurazione del nuovo presidente «riformista» Masud Pezeshkian. Nessuna rivendicazione, ma la certezza che sia stato Israele.

Subito si è scatenata la triste lotteria delle possibili rappresaglie: chi, quando, come vendicherà i due capi? E poi, quale sarà la controrisposta dello Stato ebraico? Spirale senza fine. Quindi rischio di espansione ulteriore di un conflitto in più fasi e teatri, dalla Striscia di Gaza al Mar Rosso, dal Libano al Golan, dove un paio di giorni prima un missile, che Israele attribuisce a Hezbollah, aveva ucciso dodici ragazzini drusi che giocavano a calcio. Tutto tragicamente logico e concatenato. O no?

Pensiamo di no. Può apparire un paradosso – e lo sarebbe alle nostre latitudini, non in quella regione – ma la sanguinosa litania di morti a distanza è nelle intenzioni dei contendenti un modo per delimitare lo scontro. Per evitare che finisca totalmente fuori controllo, che sfoci quindi in scontro diretto fra i due veri contendenti per l’egemonia regionale, Israele e Iran. Una potenza atomica effettiva e un’altra virtuale. L’analisi delle intelligence israeliana e iraniana convergono su questo punto. La guerra di attrito via proxies continua e anzi si inasprisce, ma la linea rossa del duello Gerusalemme-Teheran non viene varcata. Almeno finora.

Orna Mizrahi, qualificato analista israeliano dell’Inss, il più influente think tank locale, espressione dello Stato profondo, osserva: «Dalla nostra esperienza risulta che finora l’eliminazione di dirigenti di rilievo non ha prodotto cambiamenti a livello strategico». Anzi, l’eliminazione di Shukr «è una risposta appropriata che consente a entrambe le parti di evitare una guerra più ampia, alla quale nessuno è oggi interessato». Simile l’atteggiamento finora tenuto dalla Repubblica islamica. Rappresaglie e controrappresaglie ci saranno, ma sotto la soglia della guerra aperta, diretta. Fra le reazioni iraniane, un occhio speciale dovrà essere dedicato agli huti dello Yemen, loro referente locale, che hanno già dimostrato di poter colpire dentro Israele.

Certo, l’assassinio di Hanyeh, ospite a Teheran della Guida suprema, è un salto di scala. Il capo dell’Ufficio politico di Hamas, legato ad alcune petromonarchie del Golfo, specie il Qatar, era figura troppo nota perché l’Iran possa assorbire il colpo senza reagire. Saremmo però davvero stupiti se Khamenei desse via libera alla guerra con Israele, che metterebbe a rischio il suo regime. Né l’intenzione di Netanyahu era quella di violare la linea rossa suprema, bensì di inasprire e prolungare il conflitto con Hamas. Semplicemente il premier israeliano non può permettersi che finisca. Ne va della sua libertà personale (prima o poi Netanyahu sarà processato e probabilmente condannato per malversazioni varie) ma ne va anche della stabilità di Israele (naturalmente degli ostaggi, abbandonati a se stessi, Netanyahu non si cura poi troppo).

Dallo Stato ebraico viene infatti la notizia più importante di questi giorni convulsi. Il 30 luglio alcuni estremisti di destra, fra cui parlamentari e ministri del Governo in carica, sono penetrati in due basi delle Forze armate per protestare contro l’arresto di otto soldati accusati di aver abusato di un prigioniero palestinese, sodomizzato e finito in ospedale. Uno dei diversi casi di analoghe torture cui alcuni carcerati palestinesi sarebbero sottoposti. Solo l’arrivo di rinforzi ha impedito che i manifestanti liberassero i soldati detenuti. Lo stesso capo delle Forze armate israeliane (Idf), Herzi Halevi, è dovuto intervenire per calmare la crisi e condannare l’azione degli estremisti. Secondo lui, queste azioni «sono al limite dell’anarchia». Perfino Netanyahu è dovuto intervenire per ricordare che niente giustifica il tentativo di penetrare nelle basi militari.

Ma alcuni dirigenti del Likud, il partito di «Bibi», hanno protestato contro l’iniziativa del procuratore militare di mettere sotto inchiesta gli otto soldati presunti torturatori. Quanto alla destra più estrema, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha definito «guerrieri eroici» i militari sotto accusa, mentre Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale, ha rincarato: «Giù le mani dai riservisti!». Drastico il commento del capo dell’opposizione, Yair Lapid: «Il Paese non è sull’orlo dell’abisso, è nell’abisso». L’intrusione violenta di parlamentari e ministri nelle due basi significa che «un pericoloso gruppo fascista minaccia l’esistenza dello Stato di Israele». Leggiamo la liquidazione di Shukr e Haniyeh anche su questo sfondo: Netanyahu non vuole sospendere la guerra esterna perché rischierebbe di scatenare la guerra civile.

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