I risultati sono incoraggianti secondo gli ultimi studi presentati di recente al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology di Chicago
Polmoni, seno, prostata e colon retto. Sono questi i quattro principali organi colpiti dal tumore, i cosiddetti «Big Killer», e anche la Svizzera non fa eccezione con numeri complessivi che toccano – secondo le ultime indagini – oltre 45mila persone ogni anno. Uno su cinque si sviluppa prima dei 70 anni e gli uomini si ammalano e muoiono in percentuali più alte delle donne. Il cancro alla prostata è il più frequente tra gli uomini ma a provocare il maggior numero di decessi sono quelli ai polmoni, ai bronchi e alla trachea. Tra le donne il più diffuso è al seno, che è anche il più letale insieme al polmone, come riportano i dati dell’Ufficio federale di statistica (Ust). Tuttavia, ed è una premessa importante: mentre in passato si distinguevano i tumori solo in base all’organo bersaglio, con il tempo si è iniziato a ragionare per sottogruppi e mutazioni genetiche presenti. Ciò significa confrontarsi con malattie che si comportano anche differentemente, si classificano in maniera diversa e i cui trattamenti possono essere specifici; ecco perché vanno selezionati i pazienti con la caratteristiche giuste per rispondere con successo alle cure.
Da Chicago, dove si è da poco concluso il Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), che ha riunito oltre 35mila esperti, arriva una buona notizia sul tumore al polmone per la forma «non a piccole cellule» (NSCLC) avanzata con una specifica mutazione detta «ALK»: il trattamento con l’inibitore della tirosina chinasi (TKI) ALK (la molecola Lorlatinib) ha portato a una sopravvivenza libera da progressione più lunga (PFS) e un migliore controllo e prevenzione delle metastasi cerebrali rispetto alla terapia di riferimento (molecola «Crizotinib»). Il valore PFS rappresenta il tempo che trascorre dalla cura all’eventuale ripresa della malattia.
Nello studio di fase 3, denominato «crown» e a cui sono stati sottoposti 296 pazienti, la sopravvivenza a cinque anni è stata del 60% nel gruppo Lorlatinib e dell’8% nel gruppo Crizotinib. Nei pazienti che non presentavano metastasi cerebrali all’inizio dello studio, solo 4 su 114 hanno sviluppato metastasi cerebrali nel gruppo Lorlatinib e quei 4 hanno sviluppato metastasi cerebrali entro i primi 16 mesi di trattamento.
Questa molecola di terza generazione è designata proprio per superare la barriera ematoencefalica e agire quindi a livello cerebrale, nonché per essere attiva anche in pazienti già trattati in cui si siano sviluppate delle mutazioni secondarie di resistenza ai farmaci. «Questo studio conferma l’eccezionale efficacia duratura del farmaco come scelta di prima linea e i risultati rappresentano alcuni dei migliori mai osservati per questo tipo di tumore al polmone ALK TKI», ha affermato David R. Spigel, Direttore scientifico del Sarah Cannon Research Institute di Nashville (Tennessee, USA). Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica «Journal of Clinical Oncology».
Altri risultati importanti si hanno avuti sempre sul tumore al polmone ma in questo caso «a piccole cellule» (SCLC): i pazienti che hanno ricevuto un’aggiunta di immunoterapia, dopo la chemioterapia tradizionale e le radiazioni, hanno vissuto più a lungo e dimostrando minor probabilità di recidiva della malattia, secondo la ricerca di fase3 «Adriatic», che ha coinvolto 730 persone.
Nel gruppo dell’immunoterapia, rispetto a quelli trattati con il placebo, la sopravvivenza globale mediana è stata di circa 56 mesi per il primo gruppo e di 33 per il secondo, mentre la sopravvivenza libera da progressione mediana è stata di circa 17 mesi rispetto a 9; valutata dopo due anni è risultata del 46% rispetto al 34%. «Abbiamo osservato progressi nell’immunoterapia nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) localmente avanzato, non resecabile con la chirurgia e metastatico e, più recentemente, in quello dove si può intervenire in sala operatoria nello stadio iniziale. Abbiamo anche assistito a progressi nelle forme estese e metastatiche, ma questo è il primo studio che dimostra che l’immunoterapia aiuta i pazienti affetti da questo tipo di tumore in stadio limitato o non metastatico», aggiunge David R. Spigel autore principale dello studio.
Non da ultimo si è anche parlato di scambi telematici e sistemi di comunicazione remota: «La telemedicina ha il potenziale per ridurre sostanzialmente il carico sui pazienti, sui medici e sulle risorse sanitarie, pur mantenendo un’assistenza di qualità. I nostri risultati evidenziano la necessità fondamentale per i sistemi sanitari e i politici di adottare la telemedicina in modo più ampio negli standard di cure palliative basati sull’evidenza», sempre in tema di polmone è questo l’appello di Joseph Greer, co-direttore del Cancer Outcomes Research & Education Program presso il Massachusetts General Hospital e principale autore di un altro studio presentato al Congresso di Chicago.
Ben 1250 pazienti over 65 sono stati suddivisi in due gruppi, ciascuno con sessioni di cure palliative ogni quattro settimane, dove affrontare momenti di comprensione della malattia, dei sintomi, di decisione delle cure ma tramite visite video oppure tramite la presenza del personale. Dopo sei mesi i punteggi sulla qualità della vita erano statisticamente equivalenti per i due gruppi, il tasso di partecipazione degli operatori sanitari era inferiore nel gruppo di telemedicina, e quindi a parità di numero si occupavano di altri incarichi pur avendo lo stesso risultato, infine i due gruppi di studio non differivano significativamente in termini di depressione, o attacchi di ansia riferiti dai pazienti.
«La ricerca mostra che le cure palliative precoci migliorano gli esiti dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule in stadio avanzato, compresa la sopravvivenza. Ha dimostrato che ricorrere alle cure palliative in telemedicina è fattibile e produce risultati paragonabili all’assistenza di persona», conclude Charu Aggarwal, Leslye M. Heisler, professore associato per l’eccellenza del cancro polmonare e direttore del Precision Oncology Innovation, Penn Center for Innovazione nella cura del cancro presso l’Università della Pennsylvania.