Crioconservazione: dagli anni Duemila, e in particolare nell’ultimo decennio, il congelamento degli ovuli è diventato più conosciuto e utilizzato anche per ragioni non mediche sebbene il risultato non sia garantito
«Non sono ancora sicura di volere una famiglia e al momento non ho un compagno, ma non volevo precludermi niente. A 34 anni, mi è sembrato un investimento nel mio futuro». Federica racconta così la sua esperienza con il freezing, ovvero il congelamento degli ovociti.
Le donne nascono con un determinato numero di ovuli non maturi, che si riduce nel tempo visto che il corpo non può produrne di nuovi. Per questo la fertilità femminile comincia a diminuire dopo i 30 anni, e in modo più accelerato dopo i 35. A quest’età, però, moltissime donne non cercano ancora di diventare madri o non sanno se vorranno esserlo un domani. Il congelamento degli ovuli offre quindi un modo per aumentare le probabilità di una gravidanza in futuro, quando magari sarebbe troppo tardi per concepire naturalmente – anche se non rappresenta in alcun modo una garanzia.
La tecnologia necessaria alla crioconservazione cominciò a emergere negli anni Ottanta – la prima nascita da ovuli in precedenza congelati avvenne in Australia nel 1986. All’inizio però questa pratica era poco diffusa, e offerta soltanto alle donne che rischiavano di perdere precocemente la propria capacità riproduttiva, ad esempio a causa di un trattamento oncologico.
È solo dagli anni Duemila, e in particolare negli ultimi dieci anni, che il congelamento degli ovuli ha cominciato a diventare più conosciuto e utilizzato anche per ragioni non mediche – da qui il nome «social» freezing – con numeri in continuo aumento, anche in Svizzera.
Come funziona?
Chi ha deciso di congelare i propri ovuli deve prima di tutto svolgere dei controlli preliminari, tra cui esame del sangue, pap test ed esami ormonali per valutare la riserva ovarica. Se non si riscontra nessun problema, con l’inizio del ciclo si può cominciare la stimolazione ormonale: circa due settimane di auto-iniezioni sottocutanee nell’addome, con un ago di massimo un centimetro. L’obiettivo è la crescita dei follicoli, per far sì che più ovuli maturino in un unico ciclo – senza stimolazione di solito ne arriva a maturazione uno solo.
Ogni paziente reagisce in modo diverso in questa fase, ma nella maggior parte dei casi «ci si può aspettare qualche doloretto, simile alla fase premestruale», spiega la dottoressa Bellavia, direttrice della clinica di fertilità ProCrea di Lugano. «Di solito le iniezioni sono compatibili con la normale vita quotidiana», conferma il dottor Santi, primario del Centro cantonale di fertilità EOC presso l’ospedale di Locarno. Federica racconta di non aver avuto alcun disturbo o quasi: «Verso la fine della stimolazione l’ingrandimento delle ovaie ha causato un po’ di gonfiore, che però è scomparso velocemente una volta terminata la procedura».
L’ultima settimana di stimolazione è quella più impegnativa dal punto di vista della gestione del tempo, con visite mediche a giorni alterni. Quando i follicoli hanno raggiunto le giuste dimensioni viene indotta l’ovulazione, e due giorni dopo si procede con il prelievo degli ovociti, che avviene per via vaginale e sotto sedazione leggera. «Sono entrata in clinica alle 8 e uscita alle 13, ricorda Federica. «Fisicamente per me il post-operatorio è stata la fase più difficile, per qualche giorno ero molto stanca. Dal punto di vista psicologico, invece, la cosa un po’ spiacevole era che molte persone si recavano a fare il prelievo con i loro compagni, per la fecondazione assistita, mentre io ero da sola». La dottoressa Bellavia consiglia alle donne di recarsi presso l’ambulatorio accompagnate, anche perché non si può guidare subito dopo l’operazione.
Tra gli ovuli prelevati, quelli maturi vengono congelati con l’azoto liquido e conservati in laboratorio per un massimo di dieci anni, dopo i quali, secondo la legge svizzera, devono essere distrutti. Quando si decide di utilizzare gli ovociti si procede allo scongelamento, e da qui in poi la procedura è la stessa della fecondazione assistita. Se sopravvivono, gli ovuli vengono fecondati con lo sperma del compagno o di un donatore. Se si sviluppano degli embrioni, di solito uno solo viene impiantato nell’utero, e in caso di successo ha inizio così la gravidanza. Gli altri embrioni possono essere crioconservati a loro volta per il futuro.
Ciascuno di questi passaggi, dal prelievo degli ovociti all’impianto dell’embrione, può purtroppo non andare a buon fine, ed è per questo che il social freezing non assicura una gravidanza futura. Il corpo umano, spiega la dottoressa Bellavia, ha moltissime variabili che spesso non siamo in grado di valutare o controllare. Tenendo conto di queste incertezze, quindi, quali sono le probabilità di successo di questa pratica?
Probabilità di successo
«L’età ideale per la crioconservazione è sotto i 35 anni. Con il tempo, infatti, non diminuisce solo la quantità di ovuli disponibili, ma anche la loro qualità», spiega la dottoressa Bellavia. «I metodi per valutare la qualità degli ovuli prelevati sono ancora sperimentali», afferma il dottor Santi, «non possiamo farci affidamento». Perciò si possono solo fare delle stime, basate soprattutto sull’età della donna al momento dell’operazione: maggiore è l’età, maggiore sarà il numero di ovuli considerati necessari per raggiungere una certa probabilità di gravidanza futura.
Chi ha meno di 38 anni in media può congelare tra i dieci e i venti ovuli dopo un solo ciclo di stimolazione, e si tratta di un numero solitamente considerato sufficiente. In caso contrario, può essere necessario un secondo o un terzo ciclo. «Tecnicamente si può procedere con una nuova stimolazione anche dopo un mese, ma la maggior parte delle pazienti aspetta tra i tre e i sei», riporta il dottor Santi.
Gli ovuli possono poi non sopravvivere allo scongelamento, o non venire fecondati, o ancora l’impianto in utero può non andare a buon fine. Tenendo conto di tutte queste variabili, secondo la dottoressa Bellavia «a 34 anni, con 10 ovociti congelati si ha almeno il 50% di probabilità di riuscita. A 37 ne servirebbero già il doppio». Federica è ricorsa al social freezing nel 2023, a 34 anni, e le sono stati prelevati 14 ovociti. Secondo i dottori e le dottoresse che l’hanno seguita, questo dovrebbe darle il 70-80% di probabilità di gravidanza un domani.
«Il punto del congelamento, però, non è necessariamente usare quegli ovuli in futuro», puntualizza la dottoressa Bellavia. Molte donne potrebbero non avere mai bisogno di scongelarli, perché nel frattempo sono rimaste incinte o perché hanno deciso di non voler diventare madri – questo è vero specialmente per chi ricorre al social freezing quando è più giovane, visto che ha davanti a sé diversi anni durante i quali può ancora concepire naturalmente.
E infatti, secondo uno studio pubblicato nel 2023 sulla rivista scientifica «Journal of Clinical Medicine», a livello globale solo il 12% delle donne ha deciso di utilizzare gli ovuli crioconservati in precedenza. Si tratta di un dato che non tiene conto, tuttavia, di chi ha effettuato la procedura solo pochi anni fa e potrebbe quindi ancora scegliere di scongelare gli ovociti in futuro. Ma non si tratta per forza di un problema: il social freezing è soprattutto preventivo. Nel momento in cui si decide di farlo è impossibile sapere se un domani si vorrà utilizzare quegli ovuli o se non ce ne sarà bisogno, per qualsiasi motivo.
Chi ricorre al social freezing?
Le ragioni per cui le donne decidono di congelare gli ovuli sono molte, tutte legittime e diverse tra loro.
Il caso più comune, però, è quello di chi non ha trovato il partner giusto, o è appena uscita da una relazione e sa che potrebbe volerci del tempo prima di incontrare una persona con cui voler costruire una famiglia.
Il social freezing permette di separare temporaneamente il piano romantico da quello riproduttivo: molte donne hanno affermato che in seguito al congelamento degli ovuli hanno vissuto le relazioni con più leggerezza e spontaneità, preoccupandosi meno del tempo che passa e dell’orologio biologico. Altre donne, come Federica, non sono ancora del tutto sicure di volere dei figli, ma vogliono darsi una possibilità in più in futuro, se fosse quello il loro desiderio. C’è anche chi vuole aspettare qualche anno prima della gravidanza per poter raggiungere uno specifico traguardo professionale, ma, raccontano gli esperti, si tratta generalmente di una minoranza di pazienti.
Congelare gli ovuli rappresenta un’opportunità che ogni donna deve valutare per sé, in modo da poter fare una scelta consapevole. È una tecnologia che dà una possibilità in più a chi pensa di voler figli in futuro, ma non deve diventare un ulteriore strumento di pressione sociale sulle donne e il loro fantomatico dovere riproduttivo. Il social freezing deve insomma essere una scelta libera – non un ulteriore obbligo – e una scelta informata, per evitare delusioni future.
Ma le persone non possono scegliere se non sanno che questa opzione esiste, e di crioconservazione si parla ancora poco. «Ho scoperto questa possibilità per caso, chiacchierando con una collega a lavoro», racconta Federica. «Se l’avessi saputo qualche anno fa, forse l’avrei fatto prima».