Dalla decelerazione alla decrescita

by Claudia

Ho terminato gli studi di economia all’inizio degli anni Sessanta dello scorso secolo, in piena era della coesistenza pacifica. Allora erano tre i semi-dogmi sui quali poggiavano le nostre concezioni di politica economica. Il primo: si pensava che una crisi economica mondiale non avrebbe più potuto ripetersi perché tutti i Governi erano in grado di controllare l’evoluzione della domanda globale. Il secondo invece riguardava le differenze di benessere tra i Paesi sviluppati e il resto del mondo. Si credeva che un tasso annuale di crescita dell’economia mondiale, pari al 5%, avrebbe potuto, in un paio di decenni, eliminare ogni differenza. Così l’accelerazione nella crescita del Pil di un’economia veniva propagandata come una misura economicamente e socialmente necessaria. Più larga diventava la torta e più facilmente si potevano aumentare le dimensioni delle fette da distribuire. Il terzo semi-dogma affermava che, per il mondo occidentale, la crescita era indispensabile per potersi affermare, in una situazione di coesistenza pacifica, contro il comunismo.

A questo punto bisogna precisare che durante gli anni 60 dello scorso secolo tassi annuale di crescita del 3, del 4 e del 5%, erano abbastanza comuni, non solo per i Paesi del blocco comunista, ma anche per le economie sviluppate del mondo occidentale. Questo significava che, anche da noi, i livelli di benessere materiale raddoppiavano all’incirca ogni 20 anni. Poi vennero gli anni 70 con il ritorno ai cambi flessibili di quasi tutte le economie e la deindustrializzazione delle economie più avanzate, comprese quelle dell’Europa occidentale. I tassi annuali di crescita del Pil cominciarono a diminuire: prima al 3, poi al 2 e anche sotto il 2%. Salvo che negli Usa, la produttività dei fattori di produzione cominciò a ristagnare. Si era in perdita di velocità ma non si stava ancora retrocedendo. Invece di raddoppiare ogni 20 anni, i livelli di benessere materiale raddoppiavano ora solo ogni 40: continuavano comunque a salire sebbene a passo rallentato. Si parlò allora prima della fine di un ciclo cinquantennale di sviluppo, poi del prolungarsi di un periodo di stallo dovuto per qualcuno alla mancanza di innovazioni, per altri alla crescita della quota dello Stato nell’economia e per altri ancora all’invecchiamento della popolazione.

Da allora, almeno in Europa, la macchina economica non è più stata in grado di accelerare. Anzi, nei due decenni del nuovo secolo i tassi medi di crescita del Pil sono scesi verso l’1% e anche sotto questa barra. Con i tassi di crescita del Pil di oggi il raddoppio dei livelli di benessere medi si fa ogni 70 anni. Poiché la produttività delle economie europee non ha più ripreso a salire, anche i salari ristagnano. Per quel che riguarda i profitti, il quadro è più differenziato. Ci sono aziende nei rami di produzione tradizionali che non realizzano guadagni e ci sono (poche) aziende nel settore dei servizi che realizzano profitti cosmici. Per gli enti pubblici gli ultimi 50 anni sono stati invece quelli del grande indebitamento perché le loro entrate fiscali, tendenzialmente in diminuzione, non sono più riuscite a finanziare una spesa in crescita. Ma anche le economie domestiche faticano a tirare avanti per l’aumento più che proporzionale, rispetto ai salari, di spese obbligatorie come le casse malati e le imposte. Insomma, la realtà è che le economie europee stanno decelerando.

In questa situazione sono sempre più numerosi coloro che sostengono che ci dobbiamo adattare a questo colpo di freno di lunga gettata e prospettano l’arrivo della decrescita, ossia di tassi di crescita negativi, come lo scenario più probabile per i prossimi decenni. Dovremmo essere pronti ad accettare una diminuzione del nostro livello di benessere? In Svizzera le proposte per una decrescita vengono sia da destra sia da sinistra. Tutti vogliono limitare la crescita. L’UDC è convinta che sia ora di bloccare la crescita della popolazione e promuove un’iniziativa costituzionale per evitare che la Svizzera superi i 10 milioni di abitanti prima del 2050. Questa iniziativa, puramente elettorale, ha già raggiunto il suo scopo e non avrà probabilmente nessun esito anche se dovesse giungere in votazione. I Giovani Verdi vogliono limitare invece, con la loro iniziativa, produzione e consumi per ridurre il carico ambientale. Fosse ancora qui Thomas Malthus, il padre della teoria dei limiti alla crescita, se la riderebbe sotto i baffi.