«Chiedo al mio collega il significato di termini utilizzati dagli Gen Z», annuncia già sghignazzando Natalie Jones, una reporter 20enne del giornale locale dell’Ohio Dayton.com. Il suo video, che su TikTok è arrivato a 4,3 milioni di visualizzazioni, fotografa meglio di ogni altro un fenomeno in rapida diffusione che sta dietro alle Parole dei figli: il boomer-stumping che, tradotto letteralmente, sta per «mettere in imbarazzo il boomer». La rubrica che state leggendo nasce il 25 ottobre del 2021 per cercare di capire i nati tra il 1995/97 e il 2010/2012 che sono i nostri figli (non ci sono date esatte sul periodo della Generazione Z), attraverso le parole che ci consegnano. Al di là del loro mutismo, del loro essere sfuggenti, dei loro pensieri difficili da carpire. Il senso è capire cosa dicono, per cercare di comprendere cosa gli frulla in testa. Ebbene, oggi essere in grado di conoscere il significato del loro slang non è più solo una questione tra genitori e figli, ma un affair che riguarda anche il posto di lavoro.
Ormai i più vecchi degli Gen Z hanno 27-29 anni e stanno prendendo piede negli uffici e nelle aziende di ogni dove. Il saggio dal titolo GenZ @ Work: how the next generation is transforming the workplace (ed. in inglese HarperCollins) lo prediceva già nel 2017, il suo anno d’uscita: il guru degli studi generazionali David Stillman si mette insieme con il figlio 17enne Jonah per analizzare come gli Gen Z trasformeranno i posti di lavoro. «Con i suoi 72,8 milioni di dipendenti solo negli Usa – scrivono gli autori – la Gen Z sta per far conoscere la sua presenza in modo importante e i datori di lavoro devono comprendere le differenze che li contraddistinguono. Questa generazione ha una prospettiva del tutto unica sulle carriere e su come avere successo».
Secondo il sito internet e social network americano Glassdoor, nel quale gli impiegati delle aziende anonimamente recensiscono i loro superiori, l’anno X in cui i Baby Boomers saranno superati è proprio il 2024. E il fenomeno nei prossimi anni esploderà, tanto che negli Usa hanno coniato il motto: «Più zoomer, meno boomer» proprio a indicare il sopravvento della Gen Z. Di qui libri e siti web, come quelli di Roberta Katz, ex ricercatrice senior presso il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford, per studiare come i loro valori e le loro aspettative plasmeranno il futuro in ufficio: lavorano in gruppo, spesso con le cuffie alle orecchie, al primo posto mettono equilibrio tra professione e vita privata e il mantenimento della salute mentale e fisica. Ma ci risiamo: per arruolare, motivare e gestire la Generazione Z è innanzitutto fondamentale capire cosa dice. Cosa indispensabile anche per non farci prendere in giro. Il boomer-stumping, ossia mettere in imbarazzo chi è più vecchio e non riesce a capirli, è così diffuso che per Natalie Jones insegnare il gergo degli Gen Z ai colleghi di lavoro, la maggior parte dei quali hanno 15 o 20 anni più di lei, è indispensabile per non farci diventare dei bersagli in posti di lavoro sempre più impregnati dalla cultura pop dei social media. È l’essenza delle Parole dei figli, insomma, traslata dai genitori al posto di lavoro!
Inutile dire che la Rete è già piena di esempi di incomprensioni che fanno molto divertire i nostri figli. Per dire, il «New York Post» racconta di Kiana Sinaki, 21 anni, desiderosa di condividere dei pettegolezzi con un collega più anziano in una palestra a Santa Barbara, in California: «Ho del tea (tè) – gli dice – per te». Il collega senior risponde: «Oh, no, grazie. Ho abbastanza bustine di tè per conto mio». Giù a ridere! Il senior non coglie il significato del termine gergale tea che sta per pettegolezzo, e invece pensa che il suo junior gli stesse offrendo del tè. «Ho detto No cap ad alcuni dei miei colleghi e non avevano idea di cosa stessi dicendo», continua impertinente Sinaki (chi di voi ha letto, invece, l’ultima rubrica de Le parole dei figli, adesso lo sa!). Qui stiamo parlando di persone di generazioni diverse ma tutte di lingua madre inglese: il grado di complessità per noi italofoni con ragazzi che ogni due per tre dicono un termine in slang inglese non può che moltiplicarsi.